Terremoto, una ferita aperta nel dna degli irpini

La scossa delle 23,48 ha ridestato paure. E non solo di chi ha vissuto la tragedia del 1980.

C'è chi ha subito associato alla scossa il “cattivo presagio” del Carro di Fontanarosa. Chi ha richiamato la ciclicità dei 30 anni. Ma dal 1980 tutto è cambiato. E la faglia in movimento non è la stessa.

 

 

di Luciano Trapanese

In Irpinia le ferite del terremoto del 1980 sono ancora lì, evidenti, profonde, incise nel codice genetico di tanti. Di chi ha vissuto quella tragedia e anche di chi l'ha solo ascoltata o vista nelle immagini di repertorio. E' bastata una scossa, avvertita in modo chiaro, e in pochi secondi per molti si sono riaccesi quei ricordi. Sono tornati quei giorni drammatici, intrisi di dolore, paura, case sbriciolate, morti.

Rispetto ad allora è cambiato tanto. La tecnologia, in particolare. Dopo pochi minuti – grazie a internet e prima ancora che i notiziari ne dessero notizia -, i social indicavano l'epicentro di quel terremoto. Non l'Irpinia o la Campania, come molti avevano pensato. Ma il Molise. Per la precisione, Montecilfone, un paesino di 1348 anime, a pochi chilometri da Campobasso. A 81 da Benevento. Poco più di cento da Avellino. Ed è bastato poco anche per sapere che la magnitudo era del 4,6 della scala Richter, a una profondità di 19 chilometri (che fortunatamente ha provocato pochi danni e nessuna vittima).

Nel 1980, per ore non si era saputo nulla. Le voci si rincorrevano senza certezze. La stessa Rai non aveva dettagli precisi. La prima indicazione era stata: epicentro Eboli. Ma non era così.

Quei pochi secondi, alle 23,48 di ieri, hanno innescato paure sopite, ma mai dimenticate. C'è chi – che follia! – ha associato la scossa alla maledizione del carro di Fontanarosa, che proprio ieri sera è caduto durante il percorso, finendo su una abitazione. Per chi ci crede è un tradizionale segno di sciagura.

E c'è stato chi, subito dopo la scossa, e anche dopo aver saputo che l'epicentro era in Molise, e che quindi la faglia era un'altra, non quella maledetta e tremolante che scorre sotto l'Irpinia, ha ricordato: sì, ma qui fa un terremoto ogni 30 anni, ne sono già passati 38...

Chi ha intorno a 50 anni, ha vissuto la guerra nei racconti di nonni o genitori. Storie anche drammatiche, ma irrimediabilmente lontane. La scia di dolore del terremoto ha scavato più a fondo, e per un motivo chiaro: quell'evento non è storia, è sempre presente. Radicato nel dna di questa terra. E quella faglia è ancora lì, in equilibrio precario. Potrebbe restare così per decenni, anche di più. O sfogare la sua energia. In qualsiasi momento. Non dipende dall'uomo, ma dalla natura.

Ma c'è anche da dire che quell'Irpinia non è questa. Sono passati quasi 40 anni. Le notizie corrono sul web. Le comunicazioni sono immediate. La rete stradale è molto migliorata. I “paesi presepe” sono stati ricostruiti. E spesso – peccato non potere avere la totale certezza – con criteri antisismici. La protezione civile non c'era, ora c'è. Eppure quella paura è radicata, istintiva, profonda. Una ferita, appunto, che non si rimargina.

In molti sono scesi per strada la notte scorsa. Dopo gli eventi anche successivi al sisma dell'80, raramente una scossa era stata sentita così distintamente in molte zone dell'Irpinia (ma è stata avvertita anche a Caserta, Napoli e nel Beneventano).

Per gli esperti non c'è un legame diretto con la faglia irpina. E' un evento che coinvolge soprattutto il Molise, dove già in aprile la terra aveva tremato. I terremoti stanno interessando in questi anni soprattutto l'Appennino centrale (Umbria, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise). La faglia più a sud non sta dando segnali.

Non è quindi il caso di allarmarsi, di richiamare il nefasto presagio del Carro, o la ciclicità trentennale. Ma si può comprendere il timore che si alimenta ogni volta che un lampadario ci segnala che la terra si sta muovendo.