Tra bombe e mitra per aiutare quei soldati in trincea

Da Avellino al Donbass, nel cuore della guerra in Ucraina, per portare viveri e un'ambulanza

Viaggio al centro del conflitto. Un pranzo sotto le bombe. La visita negli orfanotrofi. Gli italiani impegnati sul fronte, anche dalla parte ucraina (nella fotogallery le immagini realizzate da Vincenzo Guerra)

 

 

di Luciano Trapanese

Dall'Irpinia al Donbass, nel cuore della guerra che si combatte al confine ucraino. Un viaggio lungo cinque giorni, a bordo di un'ambulanza carica di viveri e medicinali. Un viaggio compiuto due anni fa, ma che ritorna di attualità ora, dopo la storia dei mercenari italiani (e irpini), arruolati sul fronte filorusso. In uno scenario devastante, al centro dell'Europa. Tra case, scuole e ospedali distrutti. E cinquemila morti, solo dalla parte di Kiev. Oltre a tantissimi tra feriti e prigionieri. Tra loro anche lo scrittore Oleg Sentsov, che dal 14 maggio ha iniziato uno sciopero della fame. Sta morendo in una prigione russa.

Vincenzo Guerra e Giovanni D'Urso, avellinesi, e Oksana Bybliv, da diciotto anni in Italia e punto di riferimento per la comunità ucraina in provincia di Avellino, sono i tre volontari che hanno portato a termine la missione organizzata dalla Confraternita della Misericordia di Summonte, dall'ambasciata Ucraina in Italia e dall'associazione Ucraini Irpini.

Hanno attraversato a bordo di un'ambulanza l'Austria, la Germania e la Polonia, prima di arrivare a destinazione. Lì, a due passi dalle bombe. Tra le trincee. E dove, insieme all'esercito ucraino, combattono anche tanti stranieri. Circa 250. Faranno parte della nascente Legione internazionale di volontari stranieri. Arrivano dall'Italia, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Polonia, dai Paesi della ex Jugoslavia. Alcuni di loro hanno origini ucraine. Altri condividono la causa di chi si oppone ai filo russi. Altri combattono gli uomini di Putin perché temono che dopo l'Ucraina, la Russia potrebbe minare le nascenti democrazia nate dall'implosione jugoslava.

«Non è stato facile – racconta Oksana Bybliv – raggiungere le trincee. Siamo stati fermati e controllati più volte. Soprattutto alla frontiera. Hanno verificato la posizione di Vincenzo e Giovanni. Sono italiani. E ci sono italiani che combattono con le Brigate Internazionali che fanno capo a Mosca».

L'ambulanza della Misericordia carica di viveri e medicinali è riuscita ad arrivare con grande difficoltà a Marianka. La cittadina più vicina ai combattimenti. Distrutta dalle bombe. Intorno campi di papaveri e grano. Le piante sono state lasciate lì, nonostante la difficoltà a trovare cibo. Nessuno si arrischia a occuparsi del raccolto: nei terreni sono state sistemate centinaia di mine.

Quell'ambulanza è stata subito utilizzata per soccorrere un soldato ferito. Poco dopo un sacerdote, con una cerimonia semplice e toccante, mentre dalla trincea si sentivano spari e cannonate, ha benedetto quel mezzo arrivato dall'Irpinia. Oggi viene usata anche per soccorrere i civili.

Delle colline nere sono visibili a qualche chilometro. Sono artificiali. Le chiamano Terykony, si sono formate con i residui delle miniere di carbone. Miniere che una volta fornivano ricchezza e lavoro in questa zona dell'Ucraina. Quelle colline si ergono nella desolazione dei campi abbandonati a dividere i due eserciti. I militari hanno anche dato un nome a tutte quelle montagne nere.

«I volontari – continua la Bybliv – vengono accolti con tutti gli onori. Ma, non posso negarlo, mi sono sentita quasi in colpa. Noi dopo cinque giorni saremmo tornati in Italia, lontano da quella guerra, lontano dal crepitare di mitra e cannoni».

Ad accogliere la spedizione irpina è stato Vasyl, il comandante della Brigata “Angeli della Notte”. Vasyl conosce bene l'Irpinia. Era un maggiore in congedo quando ha deciso di trovare la fortuna in Italia. Ha lavorato per qualche anno ad Avellino. Poi, quando è scoppiata la guerra, ha deciso di tornare in patria. E ora è lì, in prima linea, con migliaia di uomini. Ai piedi delle montagne nere, per combattere i filo russi.

«Intorno a noi – continua Oksana Bybliv – si sentivano colpi di mortaio e di mitra. Eppure i soldati oltre a non perdere la calma hanno deciso che dovevano accoglierci con la massima ospitalità. Ci hanno offerto il pranzo. E' stato davvero strano mangiare mentre intorno si sentivano i rumori della battaglia».

«Siamo andati in un ex orfanotrofio, oggi è un centro di accoglienza per i bambini che non hanno più una casa o sono rimasti senza i genitori, spesso uccisi durante la guerra. Ragazzi di età diversa, ma con la stessa luce cupa nello sguardo. Abbiamo anche visitato una casa di cura, lì a due passi. C'era un muro in ricostruzione, era stato abbattuto da una bomba. Nella struttura tanti anziani. Soli. Bimbi e anziani sono le prime vittime di questo conflitto feroce».

«Si combatte da anni – aggiunge Oksana -, e la guerra sembra diventata routine. E' assurdo dirlo, ma è così. Anche nel resto del Paese, che cerca di andare avanti. Quella ferita aperta continua a versare il nostro sangue, eppure quel dolore inizia a sembrare scontato. Non c'è rassegnazione, ma consapevolezza. Ed è una consapevolezza amara. Nessuno di noi sa quando e come finirà il conflitto. Non è una guerra civile, lo sanno tutti in Ucraina. E' una invasione».

Ed è anche una guerra silenziosa. Non ne parla nessuno. Quasi non esistesse. Eppure si combatte nel cuore dell'Europa.

Una guerra che ha riflessi anche in Italia, dove sono tantissimi gli ucraini. Soprattutto in Campania, e in particolare tra Avellino, Salerno e Napoli. Molte mamme che hanno figli con l'età per essere arruolati nell'esercito, invitano i ragazzi a raggiungerle nel nostro Paese. Alcuni le accontentano. Ma sempre più spesso, e soprattutto se non trovano un lavoro, tornano in Patria, pronti a imbracciare il fucile e indossare la divisa.

Accade oggi, accade ora. E i morti sono migliaia.