Quasi 4 milioni a nero, avranno il reddito di cittadinanza?

I dati Istat sul sommerso sono impressionanti. E alterano la fotografia sociale del Paese.

Il nero vale 214 miliardi, il 12,4 per cento del Pil e rischia di inquinare la reale platea di persone che avrebbero diritto al sussidio proposto dai 5Stelle.

 

di Luciano Trapanese

I dati sul lavoro nero in Italia, e soprattutto al Sud, impongono una rilettura sui numeri complessivi della disoccupazione e una valutazione più elaborata sulla platea di persone che avrebbero diritto al cosiddetto reddito di cittadinanza.

Le cifre diffuse dall'Istat – e riferite al 2016 – sono impressionanti (e in linea con il recente passato): il sommerso vale 210 miliardi, pari al 12,4 per cento del Pil italiano.

Il lavoro nero oltre a non garantire ai lavoratori garanzie previdenziali e assicurative, incide negativamente anche sull'ammontare dell'evasione fiscale. E contribuisce a fornire una fotografia del sistema Paese alterata. Inserendo nel numero dei senza reddito anche coloro che in realtà comunque percepiscono – seppure a nero – una paga (per molti lavori sommersi non si può proprio parlare di stipendio).

Il numero maggiore di lavoratori senza contratto sono nei servizi (33,3 per cento), nel commercio, nei trasporti, nella ristorazione (23,7), nell'edilizia e nell'agricoltura. In tutto i lavoratori irregolari in Italia sono 3 milioni e 700mila.

Un dato enorme. Che dovrà essere preso in considerazione nell'analizzare quanti avranno diritto al cosiddetto reddito di cittadinanza. Uno degli aspetti più delicati per la concessione del sussidio è proprio questa: sarà elargito a chi non ha temporaneamente occupazione, ma come dimostrare che chi lo riceve non ha anche un lavoro “sommerso”? Soprattutto se i numeri sono quelli indicati dall'Istat e se – regolarmente – sfuggono ai controlli (a dire il vero pochi o non continui).

La proposta del ministro Di Maio sui sei anni di reclusione per chi “imbroglia”, ha il sapore di una boutade. Basti ricordare, ai pochi che non lo sapessero, che la condanna media per una rapina a mano armata è di 5 anni e che i giudici solo ieri hanno condannato a 4 anni e 8 mesi un carabiniere che in servizio ha violentato una studentessa ubriaca. Pensare a pene più severe per chi si arrabatta (illegalmente), per campare la famiglia ci sembra almeno esagerato. Ma poi resta il punto: servono mezzi e uomini per controllare che bara. Mezzi e uomini che al momento non ci sono.

Il “reddito di cittadinanza” potrebbe avere due effetti diversi: ridurre l'incidenza del lavoro nero o sottopagato («prendo il sussidio e non mi faccio sfruttare»), o farla crescere: «Mi accontento anche di un lavoretto irregolare, tanto ho il reddito di cittadinanza».

Di certo il sommerso costa al sistema Paese (così come l'evasione fiscale e la corruzione), una montagna di soldi. Quelli necessari per uscire dalla crisi, aprire la porta a investimenti, ridurre il deficit, costruire un futuro possibile alle nuove generazioni.

Alla luce di questi dati il “reddito di cittadinanza” non dovrebbe partire prima di aver risolto due questioni fondamentali. Una capillare ed efficiente diffusione dei centri per l'impiego (al momento sono pochi, non servono a nulla e con personale scarso e spesso scarsamente preparato), capaci di mediare davvero tra le richieste che arrivano dal mondo del lavoro e quelle di chi cerca occupazione. E una stretta decisa e inflessibile al lavoro nero. Si rischia altrimenti di fare una inutile “ammuina”, sperperando miliardi senza incidere sulla povertà e lo sfruttamento.