L’insufficienza cardiaca è un problema di sanità pubblica in piena espansione. La sua presentazione clinica sotto forma di segni di sovraccarico è spesso sottovalutata, potendosi limitare ad una dispnea da sforzo isolata.
Ora, è importante evidenziare e curare l’insufficienza cardiaca, la cui prognosi globale è preoccupante in particolare nei diabetici. Anche per il fatto che esistono nuove strategie terapeutiche in grado di ridurre la mortalità. Innanzitutto è importante rivedere la fisiologia del miocardio sano.
Il miocardio è un organo metabolicamente attivo la cui attività dipende dal metabolismo ossidativo di numerosi substrati. In effetti il miocardio sano è capace di utilizzare i glicidi, i lipidi, e i corpi chetonici secondo le condizioni di nutrizione e quelle fisiopatologiche. Si vede così che il disaccoppiamento contrazione-copertura energetica può risultare da un difetto di ossigenazione (ischemia) o da un’incapacità di cambiare dei substrati (assenza di flessibilità metabolica come quella osservata nella cardiomiopatia metabolica del diabete di tipo2).
Ci sono differenti faccette cliniche dell’insufficienza cardiaca secondo i processi fisiopatologici in gioco. La diagnosi di insufficienza cardiaca risulta da un insieme di argomenti che comportano la clinica, l’impiego delle immagini e dei marker biologici. La diagnosi eziologica condiziona in seguito le terapie. L’impiego delle immagini ha rivoluzionato le analisi del miocardio patologico nei dettagli di struttura che vanno oltre ciò che si potesse sperare qualche anno addietro. Queste tecniche rappresentano un aiuto immenso per approfondire i meccanismi in gioco e favorire l’innovazione terapeutica.