La notizia è semplice e insieme amara: a più di vent’anni dall’avvio dell’iter pubblico, la vicenda Isochimica (ovvero la sua seconda, possibile, vita) non è ancora finita. L’area dell’ex stabilimento di Borgo Ferrovia è stata messa in sicurezza e i lavori principali di risanamento sono stati eseguiti, ma l’ultimo lotto della bonifica non risulta formalmente chiuso. Mancano gli adempimenti conclusivi — collaudi e atti amministrativi — che trasformano un cantiere “sostanzialmente terminato” in un intervento definitivamente concluso.
Per comprendere come si sia arrivati fin qui, bisogna tornare all’inizio. Tra il 1982 e il 1988 l’Isochimica di Avellino, nel cuore di Borgo Ferrovia, scoibentava l’amianto dalle carrozze ferroviarie. Il fallimento del 1990 lasciò in eredità capannoni, suoli e rifiuti pericolosi. Le aste bandite tra il 2002 e il 2004 andarono deserte, segno di un bene gravato da costi ambientali e incognite legali. Nel settembre 2004 il Tribunale autorizzò il fitto dei capannoni a una società privata, con l’impegno di avviare a proprie spese la bonifica, riconoscendo solo la prededuzione dei costi e non una prelazione sull’acquisto.
Nel frattempo, il Consorzio ASI di Avellino attivò la procedura prevista per le imprese inattive che avevano beneficiato di fondi pubblici e nel 2008 deliberò l’acquisizione al proprio patrimonio dell’ex Isochimica. Da lì nacque un contenzioso lungo e complesso, ma nel tempo la proprietà dell’area è stata riconosciuta all’ASI. Resta il fatto che, per la bonifica, il soggetto attuatore è il Comune di Avellino, che ha operato con finanziamenti regionali e sotto il controllo degli enti tecnici.
Il salto di qualità è arrivato solo nel 2019 con l’avvio del primo lotto dei lavori: rimozione e smaltimento dei materiali contenenti amianto — compresi i famigerati “cubi” nel piazzale —, abbattimento dei silos, bonifica delle coperture e delle strutture interne, messa in sicurezza del suolo e del sottosuolo. Negli anni successivi i cantieri hanno proseguito per lotti, fino a restituire un’area libera dai veleni, con i capannoni recuperati e pronti a una destinazione civile. Ma, giusto per parlarci chiaro, l'inghippo c'è ed è irrisolvibile: l'amianto tombato nel sottosuolo resta. L'area è inedificabile, immodificabile. Di qui l'idea di un uso minimale. Il riuso è già delineato nelle intenzioni: i circa 10.000 metri quadrati di capannoni dovrebbero diventare un polo fieristico e per eventi, un luogo a servizio della città e dell’area industriale. Perché ciò accada servirà un accordo chiaro tra Comune (che ha curato gli interventi) e ASI (che è proprietaria del suolo), così da coniugare tutela sanitaria, sostenibilità economica e utilità pubblica. Tra i due enti c'è il terzo incomodo, la Regione Campania. Uno sull'altro, ha finanziato tutta l'operazione bonifica fino a spendere 16 milioni di euro. L'Asi dovrà cedere la proprietà a meno che non voglia farsi carico dell'enorme cifra. Circostanza poco probabile, visto che l'Asi proprio dieci giorni fa ha chiuso la partita con la Curatela fallimentare, riconoscendo (e rateizzando a 22mila euro mensili) tutto quello che c'era ancora da liquidare in concorrenza di una somma di 700mila euro.
Oggi, però, il punto è qui: il quarto lotto non ha ancora tutte le chiusure tecniche e amministrative. È il tratto finale di un percorso che in Italia, spesso, è il più accidentato: quello dei collaudi, delle certificazioni e degli atti che fanno fede nei registri pubblici. Fino a quando queste formalità non saranno perfezionate, la pratica Isochimica resterà aperta.
L’Isochimica è stata per decenni un simbolo negativo: la fabbrica dell’amianto, le malattie, il vuoto industriale. La bonifica ha cancellato il pericolo e reso possibile il futuro. Ma il futuro, per diventare reale, ha bisogno di una firma in più: quella che chiude l’ultimo lotto e archivia per sempre una vicenda che ha segnato Avellino. Fino a quel momento, la notizia resta questa: la partita Isochimica è ancora aperta.
