Camorra, tumore al cervello: è morto Biagio Cava

Il boss aveva 62 anni. E' morto al Cardarelli

Dall’alleanza con Alfieri alla faida con i Graziano, dal 41 bis ai domiciliari lo scorso settembre. Libera: “è morto un boss, ma non è venuta meno la camorra nel nostro territorio”

Quindici.  

E' morto Biagio Cava, il boss di Quindici, del Vallo Lauro. Dal carcere al 41 bis era finito ai domiciliari lo scorso settembre.  Le sue condizioni erano gravi. Due mesi di cure fino alla morte, arrivata ieri. Una vita intera tra piombo, vendette e camorra.

Il boss aveva 62 anni. Protagonista indiscusso degli ultimi trent’anni di storia della criminalità organizzata irpina è morto dopo due operazioni al cuore, effettuate in urgenza, presso l'ospedale Cardarelli di Napoli. Condannato a trenta anni di carcere era stato trasferito agli arresti domiciliari nel suo comune natio, Quindici, a fine settembre. I suoi legali avevano ottenuto l'attenuazione della misura restrittiva, proprio a causa delle sue condizioni di salute. Poche settimane a casa per il boss, che nel giro di poche settimane è finito al Cardarelli, dove lo hanno operato al cuore in urgenza due volte.

La strage di Scisciano

E' stato detenuto al 41 bis prima a Tolmezzo, poi a Sassari e Opera. Trent’anni di detenzione da fare in regime duro.

La sua ascesa iniziò alla fine degli anni 80. Poi, il terremoto segnò anche lo sviluppo e il cambiamento della faida quindicese, i suoi equilibri, la lotta sanguinaria per gli affari: arrivarono 100 miliardi per ricostruire il Vallo. Le mire del sodalizio criminale divennero molto più ambiziose. Iniziò la guerra. Il 1991 è l'anno che segna un punto di non ritorno per la faida nel Vallo. La lotta per il potere divenne spietata. Il 21 novembre un commando dei Cava a Scisciano a colpi di kalashnikov uccide Eugenio Graziano, 30 anni, erede designato del clan, il cugino Vincenzo, di 22 anni e il loro guardiaspalle, il 21enne Gaetano Santaniello

E' il giorno della strage di Scisciano, quella che segna definitivamente la fine di una calma, seppur apparente. Nel Vallo iniziò la guerra aperta e scatenata tra i due clan. La strage di Scisciano divenne la frattura aperta e sanguinaria tra i due clan, senza punto di ritorno.

L'arresto del boss

Arrestato dopo tre anni, Biagio Cava venne assolto in appello e scarcerato nel 2000 per decorrenza dei termini, ma sottoposto a sorveglianza divenne irreperibile. Si persero le sue tracce. Viveva blindato nei rapporti con i suoi fedelissimi. Ma le porte del carcere si riaprirono, comunque.

La gendarmeria francese lo arrestò nel febbraio del 2002, su segnalazione della squadra mobile della questura di Avellino, all'aeroporto di Nizza mentre era in procinto per imbarcarsi per New York. Ma venne il tempo della vendetta. Proprio quanto il Boss Cava era in carcere. Quanto accadde quella domenica è passato alla storia delle cronache irpine come la strage delle donne.

La strage delle donne di Lauro

Il 26 maggio del 2002 a Lauro si scontrarono i due gruppi di donne delle due famiglie, dei clan rivali. Morirono la figlia sedicenne del boss, Clarissa, la sorella Michelina, la cognata Maria Scibelli mentre un'altra figlia, Felicia, rimase gravemente ferita, perdendo l'uso delle gambe. La loro auto venne speronata da un'Alfa 147 con a bordo le donne dei Graziano. Dalla seconda auto scesero, secondo quanto ricostruito, Salvatore Luigi e Antonio Graziano che diedero il via all'inferno: furono rinvenuti 37 bossoli. E' la strage delle donne che racconta al mondo intero la violenza delle donne dei clan. 

Il boss venne a sapere quanto accaduto dal carcere, ristretto al 41 bis. Ci furono i funerali in un paese blindato. Nel Vallo scorreva il veleno di vendetta e morte della faida ormai scatenata.

Il cacere

In seguito Biagio Cava venne accusato del tentato rapimento di Luigi Salvatore Graziano nel maggio 2000, altro reato per cui venne assolto in appello. Uscito dal carcere torna ad essere irreperibile. Ma una serie di arresti smantellano da fondamenta a vertici il clan. Anche uomini di peso fedelissimi del boss finiscono in carcere. Correva l'anno 2006. Biagio Cava tornò in carcere il 17 ottobre, arrestato dai poliziotti di Lauro.

Negli anni Cava ha costruito la sua leggenda anche per la capacità di rendersi imprendibile a lungo. Una delle storiche primule rosse della camorra, status che spetta solo ai veri leader.

Uno degli arresti più clamorosi del capoclan avvenne appunto Nizza, dove stava per imbarcarsi su un aereo: destinazione Stati Uniti con 18mila euro in tasca. Quell'arresto – nel febbraio del 2002 – ne confermò, ancora una volta, lo spessore criminale. Oltre a una lunga serie di episodi che ne hanno costellato l'esistenza. Compresi i due agguati, ai quali è riuscito a sottrarsi solo grazie alla sua immediata reazione.

Una vita intera tra piombo, vendette e camorra. Passata tra celle e rifugi, usati per evitare le manette, ma anche per eludere i suoi nemici storici, quei Graziano che per anni lo hanno considerato il pericolo pubblico numero uno, il responsabile – tra gli altri – dell'omicidio del futuro boss della famiglia, Eugenio. Massacrato in un garage di Scisciano insieme ad altre due persone. Per gli investigatori è stata quella la miccia che ha reso la faida ancora più devastante.

Il commento di Libera

«Non è nostro compito quello di commentare la morte di un uomo, ma non possiamo sottrarci ad una riflessione in merito, giacché la sua storia è direttamente implicata nella lunga guerra di camorra cui il nostro territorio ha assistito- è il commento di Libera Avellino- Una lunga guerra che ha coinvolto molte persone innocenti. Ed è a loro e ai loro familiari che va il nostro pensiero più sincero in questo momento. La morte di Biagio Cava non può sollevarci, perché è morto un boss di camorra, ma non è venuta meno la camorra nel nostro territorio. La nostra attenzione deve, oggi, essere più vigile e viva che mai. I fatti ci narrano di una presenza ancora forte della criminalità organizzata ed è questo che deve preoccuparci. Ed è rispetto a questo che dobbiamo, non solo indignarci, ma organizzare la nostra indignazione. Abbiamo bisogno di sentirci parte di una storia comune, abbiamo bisogno di unirci, pur nelle nostre differenze e ognuno con i propri limiti, per difendere la nostra terra dalla criminalità organizzata, nelle varie e controverse forme che essa assume».

Siep