L'allarme di Cantelmo: «L'Irpinia invasa da un fiume di droga»

Il procuratore capo di Avellino: «Non è più un' isola felice. Non sorprendiamoci».

Il procuratore capo del tribunale di Avellino fa il punto sui fenomeni criminali più diffusi in Irpinia e invita i cittadini a non abbassare la guardia. Dopo aver chiarito come l'Irpinia non sia più un'isola felice.

Avellino.  

 

di Andrea Fantucchio 

Da Guglielmo Cirillo a Pasquale Russo, due super-latitanti, fermati entrambi in Irpinia, che non può più essere considerata un'isola felice. A spiegarlo senza allarmismo ma con la consueta lucidità è il capo della procura avellinese, Rosario Cantelmo, intervistato da Ottopagine.it e 696 Tv a margine della celebrazione dei 204 anni dell'Arma dei Carabinieri.

Il magistrato, commentando l'arresto del latitante Cirillo ritenuto vicino al clan camorristico dei Polverino, fermato ieri nel comune irpino di Domicella, non si stupisce e cita proprio il caso dell'arresto di Russo, all'epoca uno dei dieci latitanti più pericolosi di Italia.

«Ogni volta che capitano episodi simili, ci sorprendiamo. Eppure questi fatti di cronaca fotografano una realtà quotidiana: lo abbiamo ricordato oggi anche in occasione delle onorificenze date ad alcuni carabinieri di Avellino, premiati quasi tutti in operazioni contro la diffusione di droga. Non ci troviamo più di fronte al pusher di quartiere, ma a qualcosa di più serio: criminalità organizzata. Un fiume di stupefacenti ha invaso Avellino», spiega Cantelmo, anche alla luce della sua lunga esperienza con l'antimafia napoletana dove ha combattuto clan che gestivano ingenti traffici di droga.

"Parole forti" ed emblematiche per descrivere un fenomeno, quello dello spaccio, che trova in Irpinia una meta privilegiata. Per la posizione geografica in primo luogo: non troppo distante da Napoli né da Salerno, storiche basi per l'approviggionamento di droga. Un mercato che incrocia la domanda di centinaia di consumatori ed è gestito, come rivelato da recenti indagini, dalla criminalità organizzata. Da un lato i clan storici del napoletano, che estendono la loro influenza fino al Vallo di Lauro e alla Valle dell'Irno, dall'altro le cosche autoctone che non hanno mai finito di gestire le proprie attività criminali sul territorio.

Lo ha ricordato anche il numero uno dell'Arma irpina, il colonnello Massimo Cagnazzo, quando ha citato un altro dei fenomeni più gravi diffusi in provincia di Avellino: quello dell'usura. Esercitata, dalla fine degli anni novanta, da gruppi criminali che operavano fra il capoluogo irpino e lo stretto hinterland a partire da Mercogliano. Un'attività criminale che è difficile da debellare perché le vittime, principalmente imprenditori o piccoli commercianti, non denunciano temendo le ritorsioni dei propri aguzzini.

Un muro di silenzio, spesso omertoso, al quale fa riferimento anche lo stesso Cantelmo. Il magistrato, pur non volendo comprensibilmente parlare di inchieste in corso, chiarisce come «nonostante il gran lavoro delle forze dell'ordine, c'è ancora tanto da fare. Sotto il profilo giudiziario, purtroppo, questa provincia non è un'isola felice. Ma vi rifaccio una domanda che avevo già rivolto quando arrestarono il latitante di Sperone anni fa: dov'era la gente di Domicella mentre il criminale arrestato ieri si nascondeva? Nessuno si è reso conto di tutto il “movimento” che inevitabilmente c'era intorno a un profilo criminale di questo spessore. Non si può restare in silenzio».