Ascesa e caduta di Occhi ghiaccio, dall'Irpinia a boss di Roma

Mimì Pagnozzi, dalla Valle Caudina al comando della cupola romana. Storia di un boss

Ha sottomesso in pochi anni i Casamonica, stretto alleanze con altri clan napoletani, la 'ndrangheta e la mafia. Ieri in Appello la conferma delala condanna a 30 anni

 

 

di Luciano Trapanese

Un'ascesa criminale impressionante. Partita da San Martino Valle Caudina, passata per Napoli, i Casalesi e approdata a Roma, dove ha raggiunto i vertici della cupola mafiosa. Una scalata finita però in un carcere di massima sicurezza, con l'inchiesta “Camorra Capitale” e una condanna a trenta anni di reclusione, confermata ieri in Appello.

Mimì Pagnozzi, conosciuto a Roma come “occhi di ghiaccio”, figlio di Gennaro, il “giaguaro” (morto d'infarto nel 2016 dopo un'udienza in tribunale), è di certo uno dei criminali più pericolosi della Penisola.

Partito dalla provincia, in un piccolo clan, quello dei Pagnozzi, padroni incontrastati delle attività illecite in Valle Caudina, ha costruito passo dopo passo una carriera criminale di primo livello. Prima con i Casalesi e infine nella capitale. Laureato in medicina, colto, distinto, freddo e spietato, si è presto imposto come un boss. Anche a Roma, dove ha soggiogato clan storici come quello dei Casamonica, la potente famiglia di zingari che nell'ordinanza cautelare viene definita succube dell'uomo arrivato dall'Irpinia. Non una cosa da poco. I Casamonica sono attivi a Roma dagli anni '60 e hanno imposto un po' ovunque la loro legge criminale. Nel 2008 Pagnozzi e i suoi avevano anche pensato, per velocizzare la “presa della Capitale”, di eliminare Giuseppe Casamonica, il capo del clan. Non è stato necessario.

Una scalata al potere malavitoso romano a dir poco rapida. Pagnozzi si era trasferito lì tre anni prima. E ha tessuto trame e strategie soprattutto con i Senese (camorra). La “cordata” ha testimoniato la diffusione della malavita organizzata campana a Roma. Che si è quindi aggiunta a mafia e 'ndrangheta.

La forza di Pagnozzi a Roma è testimoniata anche dal Gip Tiziana Coccoluto: «Le risultanze investigative acquisite offrono inconfutabili elementi utili a valutare l’eccezionale capacità intimidatoria del clan Pagnozzi, che si è dimostrato in grado di imporsi nei confronti di un altro sodalizio criminale come quello dei Casamonica che, oltre a essere notoriamente radicato sul territorio (zona sud-est di Roma), è considerato tra i più temibili del panorama criminale del centro Italia. Di particolare importanza è l’episodio riguardante il recupero di una considerevole somma di denaro effettuato dagli appartenenti al clan Pagnozzi nei confronti dei Casamonica a seguito di una vicenda verosimilmente connessa alla comune operatività dei due sodalizi criminali nell’ambito del narcotraffico».

Domenico Pagnozzi non è il primo potente boss della malavita organizzata nato e cresciuto in provincia di Avellino. Del suo calibro, ma mai capaci di imporsi con tanta forza anche lontano dalla terra d'origine, ci sono stati forse solo Biagio Cava, Adriano Graziano (e prima di lui Raffaele), e Marzio Sepe. Ma Pagnozzi è andato oltre. Così almeno conferma l'ordinanza che lo ha ristretto al carcere duro e che ha portato alla condanna di ieri (insieme ad altre sentenze passate in giudicato, entrambe per associazione mafiosa. E' stato anche condannato all'ergastolo, in primo grado, per l'omicidio di Giuseppe Carlino, commesso sul litorale romano nel 2001 insieme a Michele Senese).

Mimì Pagnozzi, 58 anni, è stato dunque ritenuto dai giudici romani la figura principale di Camorra Capitale. L'uomo al quale tutti dovevano fare riferimento. Nelle centomila pagine del fascicolo processuale il suo nome compare spesso. Sarebbe arrivato a Roma nel 2005, convinto ad allargare il suo raggio d'azione. Una zona in particolare, a sud della Capitale, la Tuscolana. E lì avrebbe gestito da padrone assoluto le piazze di spaccio, tra le più attive della metropoli. Oltre all'usura, le sale giochi, le estorsioni, e non solo.

“Occhi di ghiaccio” è stato ritenuto responsabile dei reati di traffico di droga, riciclaggio, reimpiego di capitali di provenienza illecita, estorsione, intestazione fittizia di beni, illecita concorrenza con violenza e minaccia.

Gli inquirenti hanno sempre evidenziato anche le qualità strategiche del boss caudino. Nell'ordinanza ha grande rilievo anche l'alleanza con le famiglie dei Pelle di San Lucia e i Senese della Campania (quindi anche la 'ndrangheta). Ha conquistato la Tuscolana con apparente facilità. I Casamonica, che controllano un'area vicina ed erano interessati ad espandersi, si soni fatti da parte senza reagire, anzi. La parola “succubi” di Pagnozzi, torna spesso nelle relazioni degli investigatori. E infatti, nelle numerose intercettazioni ambientali e telefoniche, personaggi della mala romana ripetevano spesso: «Lontani dalla Tuscolana, è cosa dei Napoletani».

Una decina d'anni fa il boss – che era latitante – venne arrestato a Roma, all'uscita di un cinema. Aveva visto “Era mio padre”, un film su Cosa Nostra con Tom Hanks e Paul Newman. Pagnozzi era con la famiglia. Si arrese senza opporre resistenza. Sotto il braccio nessuna pistola, ma riviste di orologi esclusivi. All'epoca già sapeva che in cella sarebbe rimasto poco e che dall'impero che stava costruendo a Roma nessuno avrebbe potuto spodestarlo. Nessuno, eccetto investigatori e inquirenti.