Quel mondo a parte chiamato carcere

La toccante lettera della sorella di un detenuto di Bellizzi

quel mondo a parte chiamato carcere

è alto il rischio che il virus possa diffondersi in maniera incontrollata nei penitenziari

Avellino.  

Gentile Redazione,

sono la sorella di un ragazzo detenuto al carcere di Bellizzi Irpino e in queste settimane così drammatiche per il nostro Paese, il mio pensiero va costantemente a lui, agli altri detenuti e agli agenti di Polizia Penitenziaria. Ho conosciuto la realtà carceraria circa due anni fa quando mio fratello, a causa della sua tossicodipendenza, ha stravolto la sua vita e quella della mia famiglia. Una famiglia normale, una di quelle in cui "certe cose non accadono", che negli anni ha dovuto combattere con un mostro chiamato droga, un mostro capace di cambiare l'anima di chi ti è accanto, renderlo qualcuno che non conosci, che ti vede come un nemico. Un lungo e doloroso excursus per cui non può bastare una lettera a raccontarlo: certe esperienze ti segnano per sempre e ti rendi conto, giorno dopo giorno, che poche, pochissime persone percepiranno davvero cosa hai nel cuore. Non ho mai pensato, nessuno della mia famiglia ha mai pensato di abbandonare mio fratello (che è parte di me e a cui ho dato la mia vita in questi anni e continuo a farlo) e, mi creda, tante volte lo avrebbe meritato..ma ho imparato che tutti, proprio tutti, possono sbagliare, ma possono anche riscattarsi e provare a costruire un futuro degno di essere vissuto.

Il Papa, per questa Pasqua, ha affidato le meditazioni della Via Crucis alla Cappellania della Casa di Reclusione "Due Palazzi" di Padova..l'ho scoperto per caso e più leggevo quanto scritto dai detenuti, da una madre, da un magistrato e più mi rendevo conto che nessuno di noi è in grado di giudicare a prescindere la vita degli altri. Mio fratello ha sbagliato e sta pagando, noi insieme a lui..mi chiedo cosa ne sarà dopo, come lo vedranno gli altri, se saranno capaci di guardare oltre. Giudicare è semplice, provare a mettersi nei panni di chi affronta certe esperienze, invece, richiede sensibilità e rispetto. Troppe volte ho sentito dire "è colpa delle famiglie”… facile addossare responsabilità che spesso ti riguardano in minima parte..perché soltanto tu sai le lotte che hai combattuto, a quante porte hai bussato, a quanti hai chiesto aiuto, quante cattiverie hai dovuto imparare a mandare giù come un boccone amaro. Oggi si chiede allo Stato Italiano, in una fase così delicata, di non dimenticarsi di chi è in carcere perché uno Stato davvero civile non può avere meno responsabilità verso un potenziale detenuto malato. Tanti politici hanno gridato alle misure prese come a un indulto mascherato: niente di più infondato.

La mia formazione giuridica mi permette di affermare che si sta sottovalutando in maniera evidente il pericolo che il Coronavirus possa diffondersi in modo incontrollato nelle carceri, nonostante ci siano già circa 60 detenuti e 160 agenti contagiati. Perché? Ad oggi, dal carcere di Bellizzi, a seguito del Decreto Cura Italia, sono usciti ai domiciliari due detenuti e quattro sono in attesa di un braccialetto elettronico che forse non arriverà mai. Non si sta facendo nulla di concreto per incentivare misure alternative alla detenzione in carcere: troppi limiti, troppe restrizioni che non consentono di tutelare un diritto alla salute che è universale e non conosce distinzioni in base al proprio certificato penale.

Quello delle carceri appare come un mondo a parte, distante dalla normalità, di cui non preoccuparsi troppo: eppure, ho imparato sulla mia pelle che lì dentro ci sono figli, mariti, fratelli, spesso persone ben lontane dallo stereotipo del delinquente abituale e senza scrupoli. Ma a tanti, troppi non importa..tanto nelle famiglie perbene certe cose non accadono e non bisogna avere pietà per chi sbaglia. Ecco, io ho imparato che non tutto va secondo i propri piani e che la vita tante volte ti "dona" lunghe battaglie da combattere.

Perché la tossicodipendenza è una guerra che può durare tutta la vita, mi auguro che ognuno di noi possa vincere la propria personale battaglia in questo momento. Spero che questa lettera possa essere lo spunto per invitare tutti a una riflessione profonda, a comprendere che le leggi vanno rispettate ma che nessuno e dico nessuno ha il diritto di giudicare chi, avendo pagato i propri errori, vuole riacquistare la propria vita e la propria dignità. Un grazie va agli agenti della Polizia Penitenziaria che operano nel carcere di Avellino: un giorno, uno di loro, mentre parlava con una signora, rispose che lì dentro ci sono persone che hanno sbagliato, non dimenticherò mai questa frase, la delicatezza del suo significato, che non ha bisogno di spiegazioni. La loro umanità e a volte anche i loro rimproveri ci confortano senza saperlo..

Un forte abbraccio a mio fratello, che non vedo da un mese a causa delle restrizioni per il coronavirus ma che fortunatamente sento al telefono, e a tutti coloro che hanno imparato e stanno imparando a dare valore alla libertà.