Imputato reo confesso del delitto, tutto ruotava intorno al riconoscimento o meno dell'esistenza dell'aggravante della premeditazione. C'è stata nell'omicidio di Ivan Kandsedal, 46 anni, origini ucraine, ucciso a colpi di pistola a Grottaminarda il 14 ottobre 2023? Si, secondo la Corte di assise di Benevento (presidente Pezza, a latere Murgo più i giudici popolari), che pur raccogliendo le sollecitazioni in tal senso del pm Flavia Felaco, che aveva proposto 30 anni, certamente non quelle dei difensori, che l'avevano esclusa, ha però riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, condannando a 18 anni Angelo Girolamo (avvocati Giuseppe Romano e Carmine Monaco), il 46enne autista di Grottaminarda che lungo Corso Vittorio Veneto, nel centro del paese, aveva sparato quattro volte contro la vittima con una pistola a tamburo calibro 7.65.
Appena dopo le 13 la lettura del dispositivo nella Falcone-Borsellino: Girolamo non ha battuto ciglio, altrettanto hanno fatto i suoi familiari. In aula c'era anche la madre di Ivan, che ha seguito tutto il processo in piedi, dietro la balaustra alle spalle del Pm. E' svenuta, cadendo a terra, ed è scoppiata in lacrime. Nulla di grave, per fortuna, mentre il suo compagno ad alta voce si è lamentato della pena, a suo dire troppo lieve.
L'udienza si era aperta con la testimonianza di una donna, arrivata sulla sedia a rotelle, accompagnata dai carabinieri di Ariano Irpino e da una volontaria dell'Anpas. Da un video era emerso che era stata l'ultima persona ad incrociare Girolamo prima del delitto. La sua deposizione non ha aggiunto nulla di nuovo, ha raccontato che quella sera era in compagnia di amici con i quali si era ritrovata dinanzi ad una paninoteca mobile. C'era anche Girolamo, ha precisato che “discuteva” con alcune persone, e di aver sentito ad un tratto evocare il nome di Ivan, senza però essere in grado di spiegare il perchè. Pensavo ad altro, dovevo portare la cena e le medicine a mio nipote, ha concluso.
La dottoressa Felaco ha ribadito le sue convinzioni sulla premeditazione, gli avvocati Romano e Monaco hanno cercato di smontare il castello accusatorio in termini di diritto e non solo, con continui rimandi alle testimonianze, alle valutazioni psichiatriche sul loro assistito, all'assenza di ogni elemento in grado di configurare un piano criminoso, una organizzazione del delitto. Girolamo aveva acquistato la pistola tra febbraio e marzo, “aveva paura di Ivan, dei suoi comportamenti aggressivi, violenti e minacciosi”, non aveva mai superato il trauma delle botte che gli aveva rifilato anni addietro. Un peso che si trascinava dietro, “un sostrato che all'improvviso è esploso”, inducendolo a “compiere un gesto irrazionale”.
