Giacomo Furia, quell'estate a Cairano

Così il grande attore scomparso sabato ricordava il film La donnaccia

Avellino.  

Un attore di qualità e tra i più popolari del cinema italiano, Giacomo Furia, e prima ancora una persona di nobili sentimenti, umile e sincera come pochi nel mondo dello spettacolo. E disposto, caso ancor più raro, a mettersi in secondo piano per lasciare la scena, anche nel ricordo, alle persone che gli stavano più a cuore. Come due anni fa a Cairano, nell'indimenticabile serata per i cinquant'anni del film La donnaccia, quando commosse e divertì il pubblicò con il suo tributo a Totò, da lui sempre venerato come un maestro di recitazione e di umanità, e a Silvio Siano, regista di quella pellicola girata nel '63 e suo grande amico.

Solo il sopraggiungere dell'agonia, destinata a rivelarsi fatale, poteva tenerlo lontano dalla serata in memoria di Siano promossa dalla Cineteca Nazionale, il 27 maggio scorso al cinema Trevi di Roma, nella quale spiccavano le proiezioni (molto apprezzate) dei due film ai quali Furia aveva generosamente collaborato con l'amico regista di Castellammare di Stabia: La donnaccia, in un memorabile cameo al fianco di Georges Riviere, e La vedovella, in una divertente scena come "spalla" di Peppino De Filippo, l'altro gigante del film che lo ha reso celebre, La banda degli onesti.

Giacomo Furia preferiamo ricordarlo così, come a lui sarebbe piaciuto: con sincera commozione e riconoscenza e con poche parole, le sue, nell'intervista che ci concesse per il libro Un'avventura neorealista. Il film La donnaccia a Cairano, edito nel 2003 da Mephite.

Quando apparve in scena, nel ruolo dell’emigrante arricchito, in camicia bianca e occhiali, dai duemila spettatori de La donnaccia restaurata si levò all’unisono un moto di gioia misto a sorpresa. Sì, nel cast del film di Siano c’era anche lui, Giacomo Furia, il popolarissimo partner di Totò e Peppino in La banda degli onesti (“Quando sono stato ospite in una sua recente trasmissione – ricorda – Pippo Baudo mi ha detto che è ancora il film più replicato in tv) e, prima ancora, invidiatissimo e trafelato marito della “pizzaiola” Sofia Loren in L’oro di Napoli.

 

Mi creda, glielo dico con sincerità: sa quando ho scoperto quanti film ho interpretato? Solo di recente, leggendo un dizionario del cinema, altrimenti non li avrei ricordati tutti. A quei tempi si usava la cosiddetta “posa”, gli interpreti di “caratteri” a volte lavoravano un solo giorno. Non posso mai dimenticare Il re di Poggioreale, dove Sergio Tofano recitò per un solo giorno, ma restava il grande, inimitabile attore che dava lustro al film.E anche per La donnaccia il mio è stato, come si dice in gergo, un cameo, poco più che un’apparizione. Eppure di quel film ho un ricordo Ancora vivo, soprattutto per la profonda amicizia che mi legava al regista Siano e ad Aldo Bufi Landi.

 

Lei aveva al suo attivo già qualche film con Siano…

 

Sì, ma anche dopo noi abbiamo scritto insieme qualche cosa, qualche “peccatuccio”: La vedovella, ad esempio, al cui soggetto collaborò anche Camillo Marino, che era stato al nostro fianco, l’anno precedente, sul set di Cairano. Precedentemente avevamo girato a Genova Saranno uomini, in cui Siano diresse attori del calibro di Silvana Pampanini e dello spagnolo Francisco Rabal. E molto interessante è l’esordio di Silvio, con Soli per le strade. Ci siamo conosciuti subito dopo quel film, lui regista e io in veste di doppiatore. Siano ha sempre cercato temi impegnati, la problematica sociale, con risvolti politici di tipo progressista. Era, diremmo oggi, un simpatizzante di sinistra. Il fatto curioso è che Siano, pur essendo entrambi napoletani, io l’ho conosciuto a Roma: la domenica andava a prendere la fidanzatina, poi diventata sua moglie, alla chiesa di Santa Maria in Via, alla messa di mezzogiorno. Poi siamo diventati talmente amici che ho fatto da padrino al battesimo di suo figlio Leopoldo, oggi apprezzato autore televisivo.

 

In teatro, intanto, aveva conosciuto Bufi Landi.

 

La nostra è un’amicizia che dura da una vita. Direi anzi che i nostri rapporti sono addirittura fraterni. Ancora adesso ci vediamo e frequentiamo, insieme alle nostre famiglie, con lo stesso spirito di quando abbiamo cominciato.

 

Due amici con i quali ha condiviso anche l’avventura sul set di Cairano.

 

Di quell’esperienza ricordo alcuni particolari, ma soprattutto m’è rimpasto impresso il paesello di Cairano. Lo aveva scelto Siano in persona, dopo aver cercato qua e là il posto più adatto per girare in esterni, e anche in questo rivelò il suo talento, perché si prestava davvero per un film realista. Paesi come Cairano dovrebbero essere delle bomboniere: sono caratteristici, a me piacciono molto, e spero che non si sia trasformato troppo, magari un po’ più confortevole per i suoi abitanti. Paesi così dovrebbero essere conservati, direi, non come un mobile vecchio, ma come un mobile d’antiquariato.

 

Quale clima si respirava sul set?

 

Era un paesino meraviglioso, come le stavo dicendo, ma anche un po’ scomodo. Non offriva molto, e non c’erano alberghi. Però Siano, con il suo carisma, era riuscito a ottenere la piena collaborazione di tutti, anche degli attori stranieri (la Boschero, indimenticabile, Riviere, la Lucile Saint Simon) che non fecero affatto le bizze da divi. Ci misero anzi tanta buona volontà. Ricordo anzi che Georges Riviere, ad esempio, si lavava senza problemi in mezzo a tutti, nella piazza del paese, e anche gli altri attori si ambientarono presto, grazie anche alla cordialità della gente del posto. Quanto a me e ad Aldo, non eravamo certo tipi di grandi pretese. Quando abbiamo lavorato in teatro, nella compagnia di Eduardo, dividevamo la stessa camera nelle pensioni: allora era rarissimo dormire in albergo, anche gli attori più grandi (Nino Taranto, la stessa Titina De Filippo) si accontentavano spesso e volentieri di una modesta pensione. Certo, da tempo ho imparato che trent’anni di teatro non valgono nulla rispetto ad un’apparizione televisiva in un programma di successo. E’ così, bisogna prenderne atto. Però ho avuto il privilegio e il piacere, prima in teatro e poi al cinema, di lavorare davvero con dei grandi.

 

Un’atmosfera, insomma, di grande allegria, come quella che lei ha dispensato nel corso della sua carriera (compreso il prezioso cameo de La donnaccia) e che rivela anche in questo colloquio…

 

Come diceva Chaplin, “bisogna farsi almeno una risata al giorno”. E io cerco di rimanere fedele a questo motto…E mi fa piacere aver dato il mio contributo a questa pellicola di Silvio Siano che adesso è tornata – meritatamente – ad appassionare il pubblico e gli studiosi di cinema.

Paolo Speranza