La città era in pieno fermento. I putipù erano finiti. Ma gli scetavaiasse erano stati ordinati. Laura Nargi s'era presentata in Comune spargendo dietro di sé petali di rose. Aveva ordinato dall'erbosteria di via De Concilii il Mendesian, la fragranza seduttiva che Cleopatra aveva usato con Cesare e Marco Antonio, e ne aveva messo boccette ovunque. A tutti, s'era ripromessa, avrebbe destinato un regalo o un aspide, a seconda dell'esito dei suoi colloqui riservati. La tela era pronta.
I carri di paglia e quelli su cui saltare
Travestita da Penelope fatta in casa, finta come l'essenza d'aglio dentro una genovese, la prima a presentarsi come tessitrice era stata Enza Ambrosone, che al posto del lembo del sudario di Laerte aveva portato fazzoletti usati dai sette sindaci che aveva “fedelmente” servito nel corso dei decenni. E proprio nel Pd gli incontri segreti e gli intrighi ribollivano sotto traccia. Maurizio Petracca era stato visto arrivare in via Tuoro su un carro di paglia. Diceva a tutti di salire a bordo, regalando spighe di grano e vallini di castagne, prese a scrocco tra una sagra e l'altra pagata dalla Regione. Giordano, l'architetto integerrimo, aveva presentato il plastico di uno stadio Partenio interamente realizzato in cioccolato. Nuovo nuovo. Futuribile. Con una copertura a cupola, simile a una coppola di babà. Iacovacci, vistosi superare a destra, aveva scandagliato nel suo passato alla ricerca di una parola buona, una frase a effetto. Ma niente. Allora s'era fatto fotografare sul carro di paglia di Petracca mentre fingeva di leggere Dorso e già pensava a chi potessero essere gli altri 99 uomini d'acciaio.
Pretoriani, pallottolieri e il trono di scope
Nargi incontrava tutti e riusciva a non dire mai niente. Sdraiata sulla lectica copiata a Pompei, aveva messo dietro di sé Mattiello e Liberale, con divise da pretoriani. Due pallottolieri segnavano gli amici e i nemici, aggiornando l'equilibrio. Sullo sfondo il trono di scope, da ognuno ambito, che se non l'evete letto andate a farlo cliccando qui. Era una processione. Giacobbe aveva visto la lunga coda e s'era messo in fila, ma poi chiedeva a tutti perché erano lì e che cosa stava accadendo. Trezza, che aveva vergogna per lui, ogni tanto gli rifilava un colpetto sugli stinchi per farlo tacere. Gerardo Melillo, aspettando il suo turno, dava lezioni su come perdere in politica.
Gli armadi pieni di scheletri e promesse finte, con gli imbucati
Da lontano Amalio Santoro, Antonio Gengaro e Luca Cipriano giocavano a sasso, forbici e pietra per stabilire chi, tra loro tre, faceva il brigante e chi il somaro, sulla longa strada per Girgenti, l'unica che porta al trono di scope. Nata vota... se non capite sta qui. Ai piani alti, in salotti ovattati e con alle pareti armadi pieni di scheletri e promesse fatte ma mai mantenute, Livio Petitto, Angelo Antonio D'Agostino e Gianfranco Rotondi, che s'era imbucato fingendosi parente di Junio Valerio Borghese, negoziavano nomine e altre promesse, come fossero quotazioni in borsa, sempre a rischio e sempre al ribasso. Mentre sfogliava intercettazioni, Gianluca Festa, affacciato alla finestra, ascoltava sparando a manetta “Tornerò” dei Santo California.
I tarallucci e vino di Ciro Picone
Da lassù, sconvolti dallo spettacolo grottesco offerto, Di Nunno, Franco D'Ercole e Massimo Preziosi non applaudivano o facevano il tifo, consapevoli che, finché quei burattini avessero calcato il palcoscenico, nessun lieto fine sarebbe stato possibile. Solo Ciro Picone, come nella Genesi per Sodoma e Gomorra, appariva l'unico giusto per cui poter salvare tutti, nonostante tutto. Poteva fare una fortuna vendendo “taralluzzi e vino”, a onore dell'ultimo casadduoglio in città.
