Cassiopea è il titolo dell’ultima silloge poetica di Gemma Iannuzzi, autrice di Castel Baronia, edito da Delta 3 Edizioni e da Emanuela Sica, direttrice della collana Plenilunio.
Gemma Iannuzzi ha già pubblicato Chiaroscuri, oltre il silenzio e la memoria, Poesia, Delta 3 Ed. 2018; Resilienza, l’arte di resistere, Poesia, Delta 3 Ed.2020; Stato e Chiesa nel pensiero di Francesco Ruffini, romanzo storico-culturale, Delta 3 Ed. 2021. Il libro è arricchito da grafiche che accompagnano la versificazione in un viaggio a metà tra il sacro e l’ancestrale, realizzate da Nicoletta Iannuzzi, grafica pubblicitaria e curatrice altresì della copertina del libro. I colori predominanti sono il blu e il nero, a richiamare volutamente i tratti del mare, del cielo, del bruno, del sogno, e del senso che trapela dalla poetica dell’autrice.
Cassiopea, tra le costellazioni più riconoscibili del cielo boreale, è una figura che nasconde dietro la sua bellezza e il suo splendore una storia complessa, da un lato profondamente intrecciata con quella di Cefeo, il marito, e Andromeda, la figlia, ma anche con il passaggio tra diverse concezioni della società e del ruolo delle donne nel mito e nella realtà.
Della poetica di Iannuzzi, scrive Sica in prefazione: “La sua poesia si inserisce in una tradizione che richiama il Requiem di Anna Achmatova, dove il dolore per la perdita personale si trasforma in un rito universale, diventando espressione di una sensibilità simile a quella di Eugenio Montale, capace di trasformare la memoria di un caro scomparso in uno spazio di dialogo infinito. Come nella poetica di Rainer Maria Rilke, il padre non è solo una figura di riferimento, ma un tramite per una comprensione più profonda del mondo e del sé. Nel “ricordati di me” risuona un’eco che è sia personale che archetipica, simile al grido del “non lasciarmi andare” nella poesia di Dylan Thomas, un invito a mantenere l’unità del legame anche nel dissolversi della presenza fisica. Qui, Iannuzzi riprende il suo tema centrale: la poesia come mezzo per superare la frattura del destino, una forma di resurrezione che restituisce al vissuto un ordine eterno, intrecciato nella memoria e nella parola. “Dedicato a mio padre” rappresenta l’apice emotivo della raccolta, il luogo in cui il ricordo si trasforma in pace e promessa, incarnando quel 15 miracolo dell’amore che la poetessa identifica come chiave per affrontare l’ineluttabile. Iannuzzi intraprende un viaggio intimo e universale, una sorta di Ulisse al femminile, guidando il lettore attraverso paesaggi emozionali profondi, simbolicamente potenti, carichi di riflessioni esistenziali.
Dai testi emerge una poetica radicata nella celebrazione della fragilità e della forza umana, spesso intrecciate in un dialogo con la natura e il cosmo. In “Vorrei darti l’esatta misura di ciò che mi cammina dentro le ossa”, l’autrice esplora l’idea di una connessione che va oltre l’individualità: l’essenza di un amore o di un legame che si manifesta nella “congiunzione planetaria” e nell’“essere globale”. La poetica si orienta verso una visione olistica, in cui il microcosmo personale riflette una complessità che trova ordine e completezza. In “Anime” e “Certi giorni”, il tema della precarietà dell’esistenza emerge con forza: i versi descrivono un mondo “assente” e “indeciso”, dove le anime “di marmo” sono intrappolate nella tristezza e nella perdita. Tuttavia, la poetessa contrappone a questa immobilità un amore ferocemente resiliente per la vita, capace di costruire estate anche “quando dentro hai la neve”. Questo dualismo tra oscurità e speranza è il cuore pulsante della sua scrittura” .
La poesia inaugurale della raccolta si intitola “Ricordati di me” :
Ricordati di me
Quando il notturno invelenito
Occuperà il tuo bonario posto
E i pensieri assieperanno le tribune
Del tuo centro.
Dividerò i sussurri ringhiosi mentre osservi la romita luna.
Poi ti riconsegnerò l’aurea corona
E tutto il creato si gremirà
Della tua pace.
Così l’autrice: “Tutto ruota intorno all’atto del percepire, del prendere coscienza della realtà esterna e, soprattutto, di quella interna, attraverso quegli stimoli sensoriali anatomizzati, scandagliati e penetrati mediante i meccanismi della mente.
Alcuni versi raffigurano “Stille di sangue e di sudore” poi ripulite e fissate in fogli, come a volerle immobilizzare nell’eternità del ricordo. Del volto di mio padre non ho solo una nebbiosa reminiscenza, ogni atto è limpido e preciso, come la mia immutata incapacità di sottrarmi alla sua presenza. La poesia dà l’esatta misura di ciò che uno soffre, di ciò che uno pensa. Spinge a narrare di cose andate via, perse. Ma soprattutto di cose rimaste, dentro. Non è mai stasi, piuttosto è un processo evo-lutivo che cammina e si rinvigorisce nella parte intima delle emozioni. È l’espressione più alta di quell’empatia che Hoffman definiva come “scintilla che fa scaturire l’interesse umano per gli altri, il collante che rende possibile la vita sociale.
Quando ci si accorge dell’incedere a passo lesto di qualcosa che non si riesce ad appurare o controllare, l’allarme e l’angoscia iniziano ad intrudersi nella grande bolla della paura, asciutta e incolore, ma poi è dalla certezza della fine che origina una tranquillità atipica, morbida, a salvaguardia dell’integrità del proprio essere.
A questo punto s’inaugura un rapporto confidenziale con ciò che è rinnovato. Non siamo e non possiamo essere uomini o donne impagliati, senza anima né energia per osare ed arrischiare. Al contrario, abbiamo il dovere di accentuare la relazione genetica tra noi e l’ambiente morale/materiale adiacente alla nostra essenza, confinante con le nostre tendenze interne. Non siamo gli “uomini vuoti” di cui discorre T. S. Eliot “Figure senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto privo di moto”; Occorre dunque approfittare della fluidità di quelle situazioni in cui nulla è definito e ogni cosa è messa in dubbio, poiché è da tale malleabilità che si ricava linfa rivoluzionaria (linfa che può discendere unicamente dalle illimitate possibilità offerte dal caos e dal disordine). L’atmosfera che si materializza quando il sentimento si rivela è un’atmosfera arroventata, non è mai placida ed equilibrata. Persino la rabbia è destinata a dissolversi in una nuvola di polvere, s’incenerisce permettendo al “nuovo” di rifiatare. Si può essere nostalgici e rimpiangere l’amore perduto nel luogo in cui l’ombra dell’assenza non decresce mai, ed essere comunque rapidi nel riportare in alto il ricordo dell’amore che è stato. Non si tratta di selezionare delle alternative comode bensì di albergare in verità che non richiedono alcun artifizio.
Alcune poesie tratte dalla silloge:
21 Settembre
Sotto l’epidermide martella ciò che manca,
il tuo nome vocalizzato e le parole solfeggiate
che ogni tocco si faceva aria e motivo di lirica e storia.
Quietamente vanno i piedi lì dove è stato il tuo tempo,
nulla è scialbo e nulla è impreciso.
Le cose qui mi rinnovano l’amore
e il rumore di fondo non graffia.
Il vento pare discosto dalla memoria e dal suo cuore
Potrei giurare su questa eterna nostalgia
che morde dietro echi sinceri,
sulla polvere dei fogli che hanno scritto di te
allungo le braccia in un campo di grano
un lento tramonto serba le fresche guance
dal sale degli occhi.
I tuoi impercettibili atti s’infilano
nel soffio dei miei intervalli
riparano le crepe delle mie interruzioni.
Vorrei salvarti ancora con l’energia intera
e dirti che non riesco a lasciarti
nell’obliquo rovescio dell’acqua
continuo a leggere l’alfabeto del tuo silenzio
nell’attesa che non crede al tuo non esserci.
Da qui proteggerò i ricami del dolore:
scivoleranno in un tappeto calmo e riposato di versi
frenando il presentimento del dominio del vuoto
e degli strappi di ogni lato del corpo.
Amnesia
Se sedessi sul tetto stellante
ogni volta vedrei il tempo che non è stato
e tu che rimani ancora qualche istante d’infinito
impigliato nell’albore dell’aurora.
Sempre adagiata su fili di paglia
mi spolmonerei a chiamare il tuo rimpatrio
ma nessuno guarirebbe la mia febbre.
Un casco di pasta vitrea a proteggere
e a mangiare l’ombra della mancanza
è come ciondolare tra ruggiti e segnali di riposo
e non so più come ho disunito le strade
o dove ho lasciato maggiorare la sete
e dilatare l’ipocondria.
Abbigliata di livore chiederei amnesia
per la tua sottrazione.
Quindi vieni e spostami dal buio,
colore di una solitudine accesa,
fino al grembo della tua rinascenza.