Controvento e il coraggio di non essere puri ma leader

Dire non ci candidiamo ha tolto forza alla loro descrizione della città

Avellino.  

Dicono che la prima grande prigione che l’uomo si autoimpone sia l’identità. E dicono pure che la condizione umana sia dominata da una profonda e radicale contraddittorietà: l’uomo ricerca la libertà, ma non è in grado di gestirla poiché in essa si disorienta e sente perduto; passa perciò tutta la propria esistenza ad autoimprigionarsi in forme ben definite in cui trovare ordine, che tuttavia gli stanno troppo strette.

Sarà per questo che Generoso Picone preferisce il campo democratico di sinistra all’abusato e, probabilmente consunto, centro sinistra. Una sottile differenza che ha disorientato Enzo De Luca, sgattaiolato via dal centro sociale prima che lo chiamassero a esprimere un pensiero non dal sen fuggito.

Dice Pirandello che tutti crediamo di poter sapere chi siamo, di poter delineare con precisione i tratti della nostra personalità e della personalità degli altri: tutti, all’interno del campo democratico di sinistra, sanno elencare gli eroi e gli antieroi della più grande disfatta politica che Avellino democratica ha vissuto qualche mese fa.

In quella sala inappropriata e puzzolente, scelta per la paura di sembrare vuoti e piccoli nell’ospitale auditorium otto metri più distante, in realtà nessuno si conosce davvero.

Giancarlo Giordano, Antonio Gengaro, Amalio Santoro e Nunzio Cignarella, Giuseppe De Mita e Pino Rosato, Francesco Todisco e Rosetta D’Amelio, Pierino De Gruttola e Luigi Mainolfi, Enza Ambrosone e Luca Cipriano, persino il reprobo Ettore Iacobacci raccontano storie di uno, ma indossano maschere sempre diverse in base alle persone con cui si relazioniamo, alla situazione sociale, al ruolo che devono interpretare.

Diventano, insomma, centomila. L’indistinto, l’irrazionale e dunque sono nessuno, mutevoli, ognuno solo con la propria versione della verità, in questo caso nel racconto della città che sarà.

Se questo fosse, il riprovarci, il rivedersi, di nuovo al centro sociale (appuntamento il 28 marzo) e di nuovo in quell'angusta stanzetta scelta per la paura di non avere identità (o di averne una troppo marcata, di qui la prigione) sortirebbe un solo effetto: scompaginare tessere e armate già piazzate sul grande risiko del voto, che ad Avellino tutta questa grandezza, poi, uno la deve andare proprio a cercare nel mito che si riconosce in automatico a chi non c'è più o è troppo vecchio per essere ancora riferimento.

Insomma, Controvento ora come ora ha un solo nemico: se stessa. I tanti satrapi che questa città continua a far parlare, a distribuire verità come macchinette che azioni ma solo a gettone, o a promozioni per i figli o a pacchetti di pubblicità, alla fine riescono a far breccia perché nell'identità diffusa tutti mostrano solo parti di talento.

Leader non si diventa per contratto: il nostro Presidente del Consiglio ne è una (purtroppo triste) rappresentazione.

Controvento resterà un'incompiuta se continuerà a darsi limiti talebani, inutili regole di purezza: in politica contano gli orizzonti, gli scenari che sai delineare. Dire nessuno si candida è stato come tagliarsi l'indice che punta verso quella visione di città, lo descrive.

Controvento può subire la stessa nemesi dei 5Stelle, travolti da quell'uno che vale uno che li ha resi centomila: ma ai problemi non basta dire vaffanculo.