Nelle aree interne la vita non vuole morire: diventino laboratorio di idee

Si conclude a Benevento la due giorni di riflessioni che ha visti impegnati oltre 30 Vescovi e Cei

nelle aree interne la vita non vuole morire diventino laboratorio di idee
Benevento.  

Si è conclusa a Benevento la due giorni di riflessione che ha visto impegnati oltre trenta vescovi di dodici regioni italiane con la partecipazione dei vertici della Conferenza episcopale italiana. Al centro dell'agenda dell'appuntamento voluto ormai da anni dall'arcivescovo di Benevento, Felice Accrocca, il problema dello spopolamento e della carenza di servizi e infrastrutture che tocca le aree interne d'Italia.

Vescovi provenienti da tutto il Paese, riuniti a Benevento per riflettere sui criteri di discernimento con l’obiettivo di elaborare una pastorale per le Aree interne. Questa mattina presso il Centro la Pace il presidente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi che ha ascoltato i gruppi di lavoro che si erano costituiti ieri dopo una prima riunione tra i presuli.

“Ringraziamo anzitutto il Signore per l’esperienza di comunione vissuta – si legge nel documento finale che annuncia importanti intenti e obiettivi -. Questi giorni ci hanno aiutato a conoscerci meglio e a stabilire relazioni più fraterne tra noi, a fare esperienza di sinodalità, a 'crescere nel servizio alla comunione, 'tutti insieme, in unità e senza campanilismi', come ci ha chiesto, nella sua lettera, Papa Francesco”.

Lettera che è stata letta ieri da monsignore Accrocca all'avvio dei lavori.

Le Aree interne costituiscono una larga porzione del Paese, accomunata da alcune criticità, depositaria di straordinarie ricchezze e tuttavia diversificata: “sono, per analogia, come la piccola Nazareth, marginale, eppure custode della realtà più preziosa. Non ci rassegniamo ad accompagnarle alla fine, in una sorta di accanimento terapeutico, ma vogliamo costituirci baluardo, forza per difenderle, dando vita a reti solidali capaci di attivare sinergie. Chiediamo alla politica interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati da una progettualità prospettica, non viziata da angusti interessi o tornaconti elettorali: in tal senso, qualora entrasse in vigore l’autonomia differenziata, ciò non farebbe altro che accrescere le diseguaglianze nel Paese; come comunità cristiana vogliamo crescere nella consapevolezza e nella partecipazione.

Molte le questioni poste sul tappeto, alle quali non è stato possibile dare adeguate risposte. Ci è chiesto, in ogni caso, il coraggio di uscire da schemi ormai sclerotizzati, di rompere con la logica del 'si è sempre fatto così', per ripensare il rapporto tradizione/innovazione, disponibili ad ascoltare la voce dello Spirito, a restituire il primato effettivo alla Parola di Dio e all’annuncio del Vangelo, anche per meglio integrare una pastorale sovente sbilanciata sull’ambito cultuale liturgico.

Dobbiamo, in tal senso – rimarcano i vescovi -, ripensare l’esercizio del ministero presbiterale e promuovere con decisione il sacerdozio comune di tutti i battezzati, una ministerialità diversificata e responsabile, la valorizzazione del diaconato permanente, le forze del laicato, quello femminile in particolar modo, che costituisce una parte consistente del tessuto delle nostre comunità, senza dimenticare eremiti e comunità monastiche, che nelle Aree interne più isolate sono la forza segreta che mantiene in vita tante energie. Dobbiamo soprattutto puntare sulla qualità delle relazioni, perché è di questo che c’è estremo bisogno. La presenza numerosa degli anziani costituisce, in queste nostre realtà, un patrimonio di umanità e di esperienze di vita che va assolutamente valorizzato”.

Dalla discussione dei gruppi di lavoro è anche emerso come “I flussi migratori possono costituire un’opportunità per ravvivare molte realtà soggette a un decremento progressivo della popolazione, ma è necessario affinare sempre più la disponibilità all’ascolto, ad assumere, nel rispetto della legge, logiche inclusive, non di esclusione.

Noi c’impegniamo a restare: la Chiesa non vuole abbandonare questi territori, senza per questo irrigidirsi in forme, stili e abitudini che finirebbero per sclerotizzarla. In tal senso c’impegniamo ad aiutare i nostri giovani che vogliono restare, cercando di offrire loro solidarietà concreta, e c’impegniamo ad accompagnare quelli che vogliono andare, con la speranza di vederli un giorno tornare arricchiti di competenze ed esperienze nuove”.

Una serie di interrogativi, di risposte e di soluzioni che inducono i vescovi a chiedere “alla Chiesa, a noi stessi in primo luogo, alla società, alla politica, di prendere sul serio tale esortazione. Le Aree interne, dove la vita non vuole morire, possono divenire un laboratorio d’idee, una risorsa viva, un tesoro straordinario per tutto il Paese: sta a noi, tutti insieme – pastori, comunità cristiana, società civile, politica –, far sì che tale auspicio diventi realtà”.

Non far morire le aree interne la mission della Chiesa impegnata per cercare una nuova ed attenta Pastorale per i fedeli. “Un bellissimo incontro nato dalla convocazione del Vescovo Accrocca che affronta un problema cvhe accomuna tutto il Paese e non solo il Sud” ha commentato il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Confederazione episcopale italiana. “Arree che sentono il peso di essere fuori dal circuito vitale ma che sono le radici di tutti. Una riflessione che ci aiuterà sia come chiesa ma anche a guardare al futuro. I piccoli centri - ha rimarcato il cardinale Zuppi – le aree interne possono essere il futuro del Paese”.

Non semplice creare una nuova pastorale: “Sicuramente sarà una pastorale di Chiesa, che coinvolge il Clero ma sempre di più di Chiesa”.