Casa Betania e quell'orto di speranza per chi ha sbagliato

La struttura ospita chi sconta la pena in modo alternativo. 'Cashmob' con i magistrati

Benevento.  

Certo che serve coraggio per organizzare una simile iniziativa mentre monta l'onda populista e giustizialista, quella dei modi spicci, della giustizia fai da te, del bollino della criminalizzazione appiccicato al 'nemico politico' per un avviso di garanzia. Figurarsi per una condanna. Mentre tutt'intorno soffia impetuoso il vento della propaganda, ce ne vuole tanto, di coraggio, per evitare di essere travolti dal conformismo imperante, per provare a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su un tema delicato come quello della pena da scontare in forme alternative al carcere.

In che modo? Lavorando, recuperando la dignità personale, riallacciando il legame, spezzato dalla commissione di un reato, con la comunità. E' quanto fanno gli ospiti della Fattoria Sociale “Orto di casa Betania“, un'esperienza che va avanti dal 2012. Angelo Moretti ne è il deus ex machina, su quell'area lasciata dalle suore in via Marco da Benevento ha costruito una realtà di integrazione che funziona. Che si alimenta non attraverso la beneficenza, ma con uno sforzo d'impresa, con quanti ne acquistano i prodotti che la terra restituisce nel segno della fatica. Questa mattina sono stati venduti nel corso del 'cashmob' al quale hanno preso parte alcuni magistrati del Tribunale e della Procura di Benevento: oltre ai rispettivi vertici, i giudici Sergio Pezza, Simonetta Rotili, Maria Di Carlo, Giuliana Giuliano, Ennio Ricci, Ida Moretti, Pierfrancesco De Pietro (fino a qualche anno fa in servizio nel capoluogo sannita) e i sostituti procuratori Miriam Lapalorcia e Francesca Saccone.

Don Nicola De Blasio, direttore della Caritas, ha definito casa Betania il “segno dell'importanza della relazione tra le persone”. Un aspetto sul quale ha insistito Moretti, ricordando che “in estate i bambini fanno il campo sociale e più in là i ragazzi scontano la pena”. Negli ultimi sei anni ne sono passati 88 da queste parti, “con un tasso di recidiva basso”. Il presidente del Tribunale, Marilisa Rinaldi, ha evocato l'articolo 27 della Costituzione, la funzione di risocializzazione che assegna alla pena. “Bisogna dare la possibilità, a chi ha sbagliato, di tornare nel mondo civile e riabilitarsi. L'emarginazione in carcere di un detenuto deve preoccupare, a tutti va offerta una speranza”.

Il procuratore Aldo Policastro ha sottolineato che il “reato è un momento di sfilacciamento per la società, la rottura di una trama umana che determina un danno per chi lo subisce e lo compie. La sanzione che ne consegue deve consentire di guardare al futuro, perchè la giustizia riparativa risponde con il bene al male”.Marianna Bocchino, dirigente dell'esecuzione penale, ha rimarcato l'importanza delle pene alternative. Che hanno permesso a Giovanni, “15 anni in via definitiva, detenuto in affidamento”, di imparare un mestiere; e a Donato, che sapeva, quando ha lavorato alla pulizia dell'area esterna del palazzo di giustizia, che anche su di lui si sarebbe inizialmente concentrata "la diffidenza”, di poter chiedere, ora, "l'aiuto e la vicinanza di tutti”. Come? Consumando un caffè, comprando la frutta e l'insalata di casa Betania.

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