Gioco partita incontro, verrebbe da dire se si trattasse di un match di tennis. Una delle parti ha provato ostinatamente a spingere la pallina nella metà campo avversaria, ma se l'è vista sempre respingere nella propria. Gara a senso unico, insomma, con un punteggio nettissimo che non ammette repliche. Da un lato della rete la Procura di Benevento, che ha insistito per gli arresti; sull'altro versante il muro del no che, alzato da un Gip, è stato rinforzato dal Riesame e collaudato dalla Cassazione. Così come chiesto dalla difesa.
Nel mezzo, purtroppo, una storia che non ha ancora una soluzione. Perchè, a distanza di due anni, nessuno ancora sa cosa sia capitato a Maria, la bimba di 9 anni, rumena, morta per annegamento nella piscina di un resort a San Salvatore Telesino.
E' stata uccisa per timore che raccontasse gli abusi che avrebbe subito, sostiene l'accusa, puntando il dito contro Daniel e Cristina Ciocan, 23 e 32 anni, connazionali della piccola. No, è caduta accidentalmente nell'acqua, argomentano gli avvocati Giuseppe Maturo e Salvatore Verrillo e uno degli specialisti - Ursula Franco, criminologa (l'altro è il medico legale Fernando Panarese) -, che scindono il tragico evento dal capitolo delle violenze, contestato a Daniel, ai danni della piccola. Ribaltando i sospetti sul papà. Lui e la moglie sono assistiti dall'avvocato Fabrizio Gallo, con loro la criminologa Roberta Bruzzone.
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19 giugno del 2016, una domenica. A San Salvatore Telesino, che dista 35 chilometri dal capoluogo sannita, una comunità di 4mila anime è in festa. Si celebra Sant'Anselmo, il patrono del paese. Il tempo fa le bizze, i giostrai della piazza intitolata al sindaco di sempre, Salvatore Pacelli, sono delusi. In serata è prevista la processione, ma salterà per la pioggia. E' mezzanotte quando scatta l'allarme. La titolare di un pub che sorge nel complesso ricettivo Borgo San Manno esce all'esterno alla ricerca del campo telefonico. Guarda verso la piscina della struttura, scopre l'orrore. A pelo d'acqua galleggia il corpo senza vita di Maria. E' nuda, i suoi indumenti sono appoggiati su una sedia e sul prato che circonda la vasca, le scarpe sono appaiate in modo ordinato.
E' l'unica figlia di Marius e Andrea Elena, una coppia rumena che abita da tempo a San Salvatore. Lui fa l'operaio, lei la badante, la loro bambina frequentava la scuola elementare. I carabinieri avviano le indagini con il supporto del Ris, la dottoressa Monica Fonzo procede all'esame esterno su incarico del pm Maria Scamarcio. Dall'autopsia che la stessa professionista ed il professore Claudio Buccelli eseguiranno dopo qualche giorno emergono i segni di abusi.
L'ora della morte viene collocata tra le 21.15 e le 23.15; più verosimilmente tra le 22.15 e le 23.15: una, al massimo tre ore dall'ingestione dell'ultimo pasto. Un panino con kebab e patatine fritte che Maria, che poi uscirà di nuovo, consuma dopo le 20, quando rientra a casa. E' stata fino a quel momento con Daniel, che l'ha portata con sé in auto a Telese, a prendere la sorella. I divieti imposti per la gara di podismo in programma nella cittadina termale glielo hanno però impedito. Per questo è tornato a San Salvatore ed ha lasciato la minore nei pressi della chiesa. Interrogato nell'immediatezza, Daniel spiega di aver poi finalmente raggiunto Telese utilizzando il percorso per Castelvenere, e di essere andato con Cristina, una volta a San Salvatore Telesino, prima a casa, per dare il cibo ai cani, poi a mangiare un pezzo di torta da un vicino. Entrambi sono a piedi, hanno fermato la macchina in via Corrado. La riprenderanno successivamente, diretti a Castelvenere, dal fratello, dove giungono intorno alle 21.15. Una doccia, la cena e l'uscita alle 22.30 per un giro con alcuni amici a Massa di Faicchio ed al lago di Telese, prima di rincasare definitivamente intorno alle 2.
La Procura avanza a luglio una richiesta di arresto, ma il gip Flavio Cusani la respinge. E fa altrettanto, per l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, anche a dicembre 2016, quando invita ad approfondire ulteriori piste. Il procuratore aggiunto Giovanni Conzo ed il sostituto Scamarcio, convinti che l'omicidio sia stato compiuto tra le 20.38 e le 21.02, l'ora nella quale i due Ciocan si allontanano con la Polo da San Salvatore, si appellano al Riesame, che ribadisce però la decisione del giudice. L'ulteriore passo è la Cassazione, che definisce il loro ricorso inammissibile. La prima sezione passa in rassegna una serie di punti evidenziati dal Riesame e ne condivide le motivazioni in ordine alla lacunosità del compendio indiziario. A cominciare dalla dinamica del fatto: “Secondo l'accusa, gli indagati avrebbero spogliato la bambina, alta 145 centimetri, e l'avrebbero gettata in una piscina con una profondità massima di 135 centimetri, senza che nessuna delle persone presenti nel resort udisse urla o rumori”.
Nessun “segno sicuro di un'azione aggressiva sul corpo della vittima, non possono essere ragionevolmente escludersi ipotesi alternative a quella dolosa omicida, perfino quella dell'evento accidentale. Il movente è stato individuato dall'accusa in una circostanza indimostrata (il rischio che Maria riferisse ad altri le violenze che le aveva inflitto Daniel), ma di tutto ciò non vi è traccia in atti”. La Cassazione sottolinea che il Tribunale della libertà, rispetto agli abusi sessuali, ha rimarcato “i sospetti” sul contesto familiare, sulla base di alcuni dati: “i dolori lamentati dalla bimba, il silenzio della madre che non aveva mai notato nulla di strano, le tracce di sperma del padre della bambina rinvenute su una maglietta e sulla copertina del letto, il tenore di alcune conversazioni registrate che faceva trasparire, al riguardo, la preoccupazione del padre, la circostanza che l'ultimo rapporto sessuale subito dalla bambina risaliva al pomeriggio del giorno della morte, quando si trovava a casa”.
Un punto, quello della collocazione dell'ultimo rapporto, rispetto al quale “le argomentazioni svolte dall'accusa per 'superare' il dato emergente dall'autopsia (“Non più di 4-5 ore prima del decesso”) erano fondate su una serie di elementi indimostrati: la presenza di tracce biologiche omogenee con il profilo genotipico di Daniel che, però, non era stato dimostrato si trattasse di sperma, su un pantaloncino della vittima che, tuttavia, non era stato dimostrato essere stato proprio quello indossato dalla giovane il giorno prima della morte”. La Cassazione sposa le valutazioni del Gip e del Riesame sulla “non affidabilità delle indagini tecniche sul Gps dell'auto di Daniel, e delle ricerche di tracce olfattive con le unità cinofile dopo oltre un mese dal fatto”, e anche sul tema degli alibi forniti dagli indagati.
Lo fa ricordando alcune testimonianze relative agli orari di avvistamento di Maria nella serata di domenica e alla presenza dell'auto dei Ciocan, che secondo la Procura era rimasta in sosta per circa venti minuti non nel parcheggio, come inizialmente ipotizzato, ma nella parte finale della stradina privata che da via Corrado conduce al resort. E, alla luce delle sue affermazioni, verificate, conclude che nell'arco temporale tra le 20.38 e le 21.02 Daniel aveva avuto numerosi contatti telefonici. “Appare assai difficile ipotizzare che gli indagati abbiano avuto il tempo di incontrarsi con la bambina, portarla al resort, denudarla e ucciderla, gettandola in piscina”, scrive il Riesame.
Siamo a fine ottobre 2017. La Procura, che nel frattempo ha nominato un nuovo consulente, Franco Introna, propone di riesumare la salma. Non accadrà perchè la difesa fa seguire, alla riserva, una richiesta di incidente probatorio che il gip Cusani non accoglie. L'inchiesta viene prorogata, la Procura notifica a Daniel un decreto di perquisizione e sequestro dei suoi dati informatici. Sono trascorsi due anni: cosa è successo a Maria che aveva solo 9 anni?
Esp
