Rapina in casa, morto dopo le botte: imputato in isolamento

Rinviato il processo d'appello per Paolo Spitaletta, condannato a 18 anni in primo grado

rapina in casa morto dopo le botte imputato in isolamento

Per lui le accuse di rapina e omicidio preterintenzionale di un 83enne di Montesarchio

Montesarchio.  

L'imputato era assente, perchè in isolamento: un dato che ha determinato lo slittamento alla prossima settimana del processo d'appello a Paolo Spitaletta (avvocato Antonio Leone), 51 anni, di Tocco Caudio, che la Corte di assise di Benevento, il 10 dicembre del 2019, ha condannato a 18 anni per la rapina e l'omicidio preterintenzionale di Giovanni Parente, 83 anni, di Montesarchio, morto all'ospedale Rummo due settimane dopo il raid di cui il 10 aprile del 2018 era rimasto vittima, insieme alla sorella 85enne, nella sua abitazione.

L'anziano era stato colpito al volto da un pugno, finendo con la testa contro un muro e poi sul pavimento. Un colpo per il quale era stato chiamato in causa anche Valentino Improta, 26 anni, di Montesarchio, che il 4 maggio del 2018 era stato rinvenuto senza vita, ucciso con due colpi di fucile a canne mozze e carbonizzato, sul monte Taburno, in una Fiat Punto, intestata alla madre del giovane, ferma alla località Cepino di Tocco Caudio, nelle vicinanze di un'area pic-nic.

Il pm Assunta Tillo aveva proposto la pena di 20 anni dopo aver espresso la sua convinzione sulla piena responsabilità dell'imputato, ed aver definito “incontrovertibile” la ricostruzione dell'accusa. Fondata su una serie di testimonianze e sulla dichiarazione che il papà di Improta aveva rilasciato il 5 maggio, il giorno dopo la scoperta del corpo del figlio, quando aveva raccontato che era stato Valentino, la sera della rapina, a riferirgli di averla compiuta con Spitaletta. Lo aveva fatto quando lui era andato a tirali fuori dalla cunetta nella quale erano rimasti impantanati con l'auto di Spitaletta.

Una ricostruzione che l'avvocato Antonio Leone aveva bollato come “suggestiva” in “un processo soltanto indiziario, privo di alcuna prova granitica”. Nel mirino del legale erano finite le “contraddizioni e le incongruenze” dei testimoni rispetto ad una serie di circostanze.

“Il nome di Spitaletta non esisteva fino al 5 maggio – aveva insistito-, quando lo aveva fatto il papà di Valentino, che ha giustificato il suo silenzio fino ad allora con la necessità di tutelare il minore che lo aveva accompagnato la sera del 10 aprile”. "Perchè, qual è il nesso tra le due cose?, si era chiesto, concludendo con la richiesta di assoluzione del suo assistito per non aver commesso il fatto, e, in subordine, del minimo della pena.

La rapina rappresenta il movente dell'omicidio di Improta, per il quale, lo scorso 20 gennaio il giudice Francesca Telaro ha condannato, con rito abbreviato, Spitaletta a 30 anni e a 18 anni Pierluigi Rotondi, un 31enne originario di Tocco ma domiciliato a Tufara. Secondo gli inquirenti, il delitto sarebbe stato scatenato dalla paura che Improta avrebbe generato in Spitaletta. Il 26enne era agitato perchè aveva ricevuto un avviso di garanzia nell'inchiesta sulla rapina, avrebbe minacciato Spitaletta di chiamarlo in correità se, nel caso in cui fosse stato arrestato, non avesse ricevuto assistenza economica per sé e la sua famiglia, anche per sostenere le spese legali per la propria difesa.

Parole che avrebbero indotto Spitaletta, nel timore che Improta potesse collaborare con la giustizia per alleggerire la sua posizione, ad organizzare, in concorso con Rotondi, l'omicidio del giovane.