Colpa della mia ignoranza. Fino ad ieri sera non sapevo chi fossero Olly, che ha vinto il festival di Sanremo, Lucio Corsi e Brunori sas, che si sono piazzati al secondo e al terzo posto. Avessi avuto potere decisionale, non avrei avuto dubbi: la palma del migliore l'avrei assegnata a Giorgia, che sa cantare, eccome: una dote che, evidentemente, conta però fino ad un certo punto.
Per il resto, coltivando ancora il vizio perverso della lettura, mi sembra di non aver registrato quest'anno particolari polemiche. Neanche una di quelle urla che per anni hanno riempito le cronache, manco un accenno a implicazioni xenofobe del tipo è nero dunque non è italiano. Che delusione, che piattume di fronte al coro entusiasta degli ascolti record, del boom di telespettatori inchiodati dinanzi alla tv, rapiti dal fascino ipnotico dei presentatori, delle frasi fatte e strafatte, delle gag provate e riprovate fino alla noia. A Sanremo è sempre andata così, diranno in molti.
La rassegna come metafora di un Paese che, in fondo, si accontenta di ciò che passa il convento, che si fa concavo e convesso e sopporta tutto, anche il vociare indistinto e petulante dei personaggi che di volta in volta si affacciano alla ribalta e provano disperatamente ad accreditarsi come i salvatori della patria. Sono consapevoli di avere una credibilità praticamente nulla, sanno che l'opinione pubblica ne è perfettamente cosciente, ma insistono e insistono, complice una informazione che, dovendosene occupare, certifica la loro esistenza.
E allora, se il contorno è questo, perchè meravigliarsi della mediocrità offerta attraverso gli schermi? E' lo specchio di una diffusa mediocrità che spinge ad usare toni soft, le parole giuste per evitare problemi e dare l'impressione di essere pronti a rispondere 'obbedisco', ad esprimere posizioni 'cerchiobottiste', ad assecondare il buonsenso. Una cortina conformistica che non disturba e non suscita reazioni, se non la nostalgia: per piacere, tornate a far vibrare le corde dei nostri cuori.
