Dopo mesi di relativa quiete, il sud della Siria torna a essere l’epicentro della guerra civile. La zona di Suwayda, città a maggioranza drusa al confine con la Giordania e non lontana dalle alture del Golan, è teatro di violenti scontri tra miliziani drusi locali e gruppi armati beduini sunniti, appoggiati dalle forze del governo guidato dal presidente Ahmed al Sharaa. L’episodio che ha innescato la nuova fiammata è stato il sequestro di un giovane venditore ambulante druso, fermato a un posto di blocco controllato da miliziani beduini.
L’intervento di Israele e l’offensiva siriana
L’esercito siriano ha inviato rinforzi con l’obiettivo di prendere Suwayda, capitale simbolica dei drusi siriani. Ma l’ingresso delle colonne corazzate governative è stato interrotto dall’intervento israeliano. Aerei militari hanno bombardato i tank siriani in avvicinamento alla città, dichiarando l’intenzione di difendere la comunità drusa, parte della quale collabora con Israele. L’azione militare è stata definita dal ministro della Difesa Katz come un avvertimento chiaro al regime siriano.
Il rischio di una guerra settaria
L’intervento armato rischia di aggravare le divisioni confessionali all’interno del Paese. I drusi siriani, ben armati e storicamente autonomi, vedono nelle recenti provocazioni beduine un pretesto orchestrato dal governo centrale per giustificare la presa militare di Suwayda. Nonostante i tentativi di mediazione in corso da parte di capi religiosi e rappresentanti locali, le forze lealiste rimangono schierate alla periferia della città, e la tensione resta altissima.
Tra mediazioni segrete e pressioni internazionali
Sul piano diplomatico, gli Stati Uniti tentano di favorire un dialogo tra Israele e Damasco. Tom Barrak, inviato speciale per la Siria, ha confermato che sono in corso trattative riservate per una futura normalizzazione delle relazioni, ma ha ammesso che il processo sarà lungo e complesso. Intanto, all’interno della stessa comunità drusa si registrano divisioni: alcune fazioni chiedono apertamente la protezione israeliana, altre rifiutano ogni ingerenza esterna e rivendicano la propria indipendenza.
La crisi di Gaza resta senza soluzione
Parallelamente alla crisi in Siria, la situazione a Gaza si aggrava. Dopo una settimana di colloqui, nessun accordo per il cessate il fuoco è stato raggiunto. Il governo israeliano ha fatto trapelare la disponibilità a ritirare le truppe da alcune aree, ma la mediazione è ferma. L’Egitto ha denunciato il blocco degli aiuti umanitari, criticando la mancata attuazione dell’accordo con l’Unione Europea. Ogni giorno, più di cento civili muoiono nella Striscia nel tentativo di ottenere cibo e medicinali.
La proposta della “città umanitaria” bocciata
In questo contesto, anche le iniziative interne al governo israeliano suscitano polemiche. Il premier Netanyahu ha respinto il progetto del ministro Katz di costruire una “città umanitaria” a Rafah, definendolo impraticabile. L’ex premier Olmert ha criticato duramente l’idea, paragonandola a un campo di concentramento. Netanyahu ha motivato il no con ragioni economiche e logistiche, sottolineando che la realizzazione richiederebbe tempi e risorse non compatibili con l’attuale crisi.
