Secondo Ian Bremmer, Trump sta «facendo melina», cercando di prendere tempo e di evitare uno scontro frontale. Ma la strategia difensiva potrebbe non bastare. Il punto, spiega il politologo, è che lo scandalo Epstein non rientra nel perimetro abituale degli attacchi politici che l’ex presidente ha imparato a neutralizzare negli anni. Per la galassia trumpiana, osserva Bremmer, molte vicende giudiziarie o istituzionali non hanno mai rappresentato un problema reale. Il 6 gennaio, per larga parte della base, «non è successo nulla di veramente grave». Il caso Epstein, invece, tocca un nervo scoperto: la convinzione radicata che esista un sistema di potere fatto di élite corrotte, protette e impunite.
Complottismo e consenso
È proprio qui che, secondo Bremmer, la questione diventa pericolosa per Trump. La sua base elettorale è già fortemente orientata al complottismo e vede nell’affare Epstein la prova di un mondo occulto che manipola la politica e l’economia. Una narrazione che non si presta facilmente a essere archiviata come “fake news” o come attacco dei media ostili. In questo contesto, l’ex presidente rischia di trovarsi schiacciato tra due esigenze opposte. Da un lato, evitare che lo scandalo si allarghi; dall’altro, non alienarsi una base che chiede chiarezza e punizioni esemplari contro le élite. Una tensione che rende il caso Epstein, nelle parole di Bremmer, «diverso da tutti gli altri». La forza di questo scandalo sta nella sua capacità di parlare direttamente all’immaginario trumpiano. Non riguarda procedure istituzionali o equilibri costituzionali, ma un tema emotivo e simbolico. Per questo, conclude Bremmer, Trump potrebbe trovarsi per la prima volta davvero in difficoltà: non contro i suoi avversari, ma di fronte alle aspettative dei suoi stessi sostenitori.
