Quei 37° Celsius che (finalmente) sanciscono la verità

Una ricerca conferma che 37 ° C è senza più alcun dubbio febbre, già conclamata e (quasi) alta

quei 37 celsius che finalmente sanciscono la verita
Napoli.  

di Gerardo Casucci

La notizia, per quanto diffusa solo dalle riviste specializzate del settore medico, era di quelle che non mi potevo far sfuggire, anche (e forse soprattutto) per l'uomo qualunque, in quanto riscattava secoli di luoghi comuni sui maschi lamentosi e più di una sessantina d'anni personali trascorsi a subire sfottò sempre più imbarazzanti sugli insopportabili malesseri da me lagnati "già con pochi decimi di febbre". Premesso che la verità è ben diversa, in quanto il sottoscritto "solo" a ben 37.5° Celsius o centigradi (da qui in poi abbrevieremo l'unità di misura della temperatura con una semplice C) chiama indifferentemente il 118, i pompieri e i figli lontani per dettare le sue ultime volontà, resta il fatto che è venuto, finalmente - qualche mese fa - un gruppo di ricercatori statunitensi a darmi ragione, dimostrando, dati scientifici inoppugnabili alla mano, che quello che io andavo blaterando, già in epoca poco più che infantile contro le convinzioni mediche mondiali e paterne, era in realtà tutta sacrosanta verità.

Ve ne spiego con piacere il motivo. Fino a settembre scorso lo scenario era chiaro. Più di 170 anni fa - precisamente nel 1851 - un giovane medico e ricercatore tedesco, tal Carl Reinhold August Wunderlich, "oltre a somigliare stranamente a Luciano Pavarotti e a essere il primo a rendersi conto che la febbre non era di per sé una malattia ma un suo sintomo", pubblicò le sue misurazioni "di oltre 1 milione di temperature corporee prelevate da 25.000 tedeschi attraverso un processo lungo e scrupoloso, che impiegava un termometro lungo un piede e richiedeva più di 20 minuti per ottenere una rilevazione affidabile".

La temperatura corporea media ottenuta dal baldanzoso e corpulento clinico teutonico, manco a dirlo, fu considerata (dall'umanità intera, compreso mio padre) quella "normale" - i famigerati e irreperibili, proprio tra i "normali", 37° C - e da allora nessuno si era mai più sognato, non dico di contraddirla, ma almeno di verificarla.

Fino a qualche mese fa, e precisamente fino al 5 settembre 2023, quando un gruppo di ricercatori californiani dell'Università di Stanford, guidato dall'infettivologa Catherine Ley, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Jama Internal Medicine un lavoro sperimentale dal titolo "Definizione degli intervalli di temperatura orale abituali nei pazienti ambulatoriali utilizzando un algoritmo di apprendimento non supervisionato", nel quale dimostrava di fatto che l'uomo moderno - com'era lecito aspettarsi, vista la verosimile minore incidenza di "stati infiammatori" nella popolazione d'oltre oceano di oggi - ha una temperatura corporea media "normale" di circa mezzo grado in meno di quella  indicata da Wunderlich. Pur con le dovute fluttuazioni, legate a condizioni ambientali e, soprattutto, personali più o meno patologiche (diabete, ipertiroidismo, fasi del ciclo mestruale, per citarne solo alcune), il rivoluzionario dato ottenuto dai colleghi americani, ci insegna sostanzialmente due cose: che l'uomo moderno è più "freddo" e "asettico" di quello di appena due secoli fa (e questo, anche sul piano strettamente concettuale, aprirebbe dibattiti accesi e interminabili) e, cosa più importante, che 37 ° C è senza più alcun dubbio febbre, già conclamata e (quasi) alta, e richiede pertanto tutte le dovute attenzioni e una adeguata sorveglianza sanitaria, altro che gli odiosi e inopportuni sguardi di scherno e di compatimento delle nostre donne e di mio padre. Guai a sottovalutare un "sintomo così rilevante", che se trascurato troppo a lungo potrebbe "trascinare l'individuo e la società tutta in un declino senza ritorno" (citazione personale). Trovate esagerate le mie affermazioni? Provate a dirlo a tutti coloro che hanno preso sotto gamba i loro malesseri associati a "pochi decimi di febbre" e si sono trovati senza saperlo in ospedale o addirittura all'obitorio.

C'è poco da scherzare con le infezioni, infatti, quegli osceni "processi patologici caratterizzati dalla penetrazione e moltiplicazione nei tessuti viventi di microrganismi patogeni", che proprio nella loro espressione clinica più subdola e strisciante - gli innocenti 37° C - costituiscono per l'uomo il nemico più odioso e mortale. Certo la mia è un po' (ma non del tutto) una pantomima, messa su ad arte per raccontare una notizia curiosa, che sancisce, però (e aggiungo ancora finalmente), il riscatto sociale degli umiliati e degli oppressi della febbre, perchè abbassare l'asticella del range superiore di normalità della temperatura corporea non può che restituire dignità ai vilipesi e agli scherniti e allargare a dismisura la popolazione di soggetti che da oggi in poi si aggirerà per il mondo con un termometro in bocca.

Lo studio statunitense - che pur documenta lo stato dell'arte delle temperature corporee di una popolazione non proprio mediterranea, come è invece la nostra, ben più nobile e delicata di quella - ha, infatti, ridato onore e valore al "malato mezzo e mezzo", nobile figura del lagnoso per antonomasia, e maschio per altrettanta e anche maggior antonomasia, che potrà così da oggi in poi affermare, e a ragion veduta, che "è meglio un codardo (sfebbrato) vivo che un eroe (febbricitante) morto". E giù risate (dubbiose).