Il padre del 18enne morto nella fabbrica di botti: "Non lavorate in nero"

"Non siamo d'accordo con la pena inflitta: parliamo di tre vittime giovanissime"

il padre del 18enne morto nella fabbrica di botti non lavorate in nero
Napoli.  

«Abbiamo protestato perché non siamo d’accordo con la pena inflitta. Stiamo parlando di tre vittime giovanissime». È la voce rotta di Kadri Tafciu, padre di Samuel, il 18enne morto nell’esplosione della fabbrica di botti, a commentare la sentenza pronunciata dal giudice.

«Purtroppo non possiamo fare nulla perché la legge in Italia è questa – aggiunge – ma voglio fare un appello: non andate a lavorare come ha fatto mio figlio Samuel, e come le gemelle Sara e Aurora. Ve lo chiedo da padre, da fratello: non lavorate in nero e non rischiate la vita come l’hanno persa i nostri ragazzi».

All’esterno del Nuovo Palazzo di Giustizia, la famiglia Tafciu ha manifestato esponendo striscioni carichi di dolore e rabbia: “Andremo fino in capo al mondo, se servirà, per chiedere giustizia”, “I tre angeli più belli”, accompagnati dalle foto di Samuel, Sara e Aurora. E ancora: “Questa non è legge”, “Tre ragazzi di 26 e 18 anni chiusi a chiave in una polveriera senza via di scampo”, “17 anni non è una condanna ma una seconda morte”.

«Io non mi fermerò – prosegue Kadri Tafciu – andremo fino in fondo. Dopo dieci anni gli imputati usciranno dal carcere, invece mio figlio non c’è più. Ha lasciato una bambina di appena sei mesi: lavorava per lei».

Il padre del ragazzo racconta anche un dettaglio emerso solo dopo la tragedia: «Da pochi giorni aveva accettato quel lavoro, per 50 euro al giorno. L’ho saputo solo dopo l’esplosione. Se lo avessi saputo prima non glielo avrei mai permesso».

Poi l’ultimo, amaro sfogo: «La pena giusta sarebbe stata l’ergastolo. Dopo dieci anni loro torneranno liberi, mio figlio resterà sotto terra».