Il culto di Santa Maria Francesca e la sedia della fertilità

Il miracolo della fertilità e le preghiere. Il culto della Santarella dei Quartieri Spagnoli

Napoli.  

 

di Simonetta Ieppariello

 

Quella che vogliamo raccontarvi è una storia bellissima fatta di fede, rituali, pietà popolare, devozione e popolo. Questa è la storia di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe la Santarella dei Quartieri Spagnoli, la Santa di Napoli.

Verità o leggenda? Miracolo? Forse, una cosa è certa nel suo Santuario a due passe dal passeggio di via Toledo, si respira la speranza. Soprattutto il sei di ogni mese quando scorre tra i vicoli stretti e rumorosi dei Quartieri la folla di aspiranti genitori, o passeggini con bambini festanti, che vengono a rendere omaggio alla Santa, per miracolo ricevuto o a chiederlo il miracolo. (guarda puntata L'Altra Campania di 696 tv Ottochannel Tv)

In una sala del convento è, infatti, custodita una fitta esposizione di ex voto in argento, coccarde colorate di azzurro o di rosa, che raccontano le nascite avvenute dopo la preghiera rivolta alla Santa della Maternità.

Segni della riconoscenza, come a Napoli si dice per la grazia ricevuta o anche per affidare i nuovi nati alla sua protezione.  

Nella sala accanto, invece, bisogna mettersi in fila per sedersi su quella che fu la sua sedia, dove lei riposava dai dolori della Passione: chi desidera avere un figlio, si siede lì, abbraccia la reliquia e chiede la grazia, prega e spera; la chiamano la sedia dei miracoli.

Succede in Vico Tre Re a Toledo dove vive il culto di Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Gesù, la vergine delle stigmate, nata il 25 marzo 1715, appartenente al terz’ordine di San Francesco, compatrona di Napoli e prima donna dell’Italia Meridionale ad essere canonizzata da Pio IX il 29 giugno 1867, dopo essere stata dichiarata Beata da Gregorio XVI il 12 novembre 1843.

Nata Anna Maria Gallo, visse una vita di sofferenze fisiche e morali, da sempre devota al punto da essere soprannominata ‘La santarella’ per il suo fare calmo e dolce, nonostante la sua situazione familiare molto difficile e dolorosa.

La Santa è particolarmente venerata dal popolo napoletano che invocò la sua protezione durante la seconda guerra mondiale e che oggi si rivolge a lei per ottenere ogni tipo di grazia. Durante il secondo conflitto mondiale si narra che la Santa protesse i Quartieri dalle bombe, risparmiando il dedalo delle case del popolo dalla furia della pioggia di fuoco e distruzione.

Un rituale intriso di fede e di superstizione allo stesso tempo, quello che l’accompagna. Una delle tante dicotomie dei Quartieri dove l’odore delle pizze fritte si mescola a quello del bucato profumato, il silenzio della preghiera si mescola ai rombi di moto e colpi di clacson.

 "Ci vuole la fede”, tuonano le suore sempre pronte a chiedere rispetto e osservanza delle regole. Sì perché una volta arrivati al santuario sono tanti gli aspiranti genitori e curiosi che vogliono salire a primo piano per sedere, sperare, credere e chiedere.

Il culto della fertilità a Napoli in età moderna è testimoniato dalle cronache di un diplomatico scozzese del XVIII secolo, Lord Hamilton, che raccontò di ex voto a forma di fallo e di un unguento che benedetto, veniva applicato contro l’impotenza. Per gli uomini che soffrivano di impotenza si consigliava di andare a respirare profonde boccate di aria di zolfo alla Solfatara. Pratiche e riti che da sempre si sarebbero praticati nella città del Sole e del Mare.

Ancora oggi esistono e resistono dei riti a Napoli. Il primo è quello di Piedigrotta, dove in antico si svolgeva il culto della “Venere Genitrice”, praticato dalle spose che invocavano fecondità grazie all’effetto di potenti afrodisiaci. Dal Satyricon di Petronio sappiamo che nella Crypta Neapolitana si svolgevano rituali di fertilità tra canti e danze sfrenate. 

E in quella magica e spirituale continuità tra mondo pagano e cristiano si tiene la festa in onore della Madonna di Piedigrotta. Nel III secolo d. C., infatti, la celebrazione della Vergine prese il posto delle baccanali, mantenendo però alcune caratteristiche colorate come carri allegorici, fuochi d’artificio e canti. Oggi l’effige è custodita all’interno della chiesa e le donne che sperano di trovar marito o in dolce attesa la omaggiano con ex voto a forma di scarpetta: il cosiddetto “scarpunciello d”a Maronna”.

 

E poi c’è il tradizionale vaso a ‘o pesce ‘e San Rafèle  che ancora oggi viene praticato nella chiesa dedicata a San Raffaele nel quartiere di Mater Dei. E risalendo nei racconti e scritti che raccontato la tradizione e unicità di Napoli si racconta altre due sedie della fertilità:  quella della cappella di San Tommaso d’Aquino nella chiesa di Santa Maria della Sanitàe nella chiesa di Santa Maria della Catena in via Santa Lucia. Dopo aver fatto visita alla santa si può passeggiare nei vicoli colorati e divertenti, pieni di persone assiepate in case piccole e con un ambiente comune in cui ogni famiglia vive il suo tempo. Si sale gradine dopo gradine in quella scacchiera ordinata che accoglieva l’esercito spagnolo e diventata il cuore pulsante della vita a Napoli. Si sale fino alle scale che ti portano all’altra Napoli, la città obliqua quella sospesa tra terra e mare, da cui guardare il Golfo con occhi nuovi. E’ la Napoli delle scale, quella da vivere e scoprire al ritmo lento del respiro, e con lo sguardo aperto verso il mare.

Duecento scale e forse più, tra “gradonate” e “pedamentine” storiche, percorrono Napoli dal mare alla collina. 

Delle tante scale che la attraversano, ce ne è una che a Napoli bisogna salire e scendere almeno una volta nella vita. Scende, impervia, da Castel Sant’Elmo fino a Spaccanapoli. 

Oltre quattrocento gradini, 414 per la precisione, che dal piazzale antistante la Certosa di San Martino arrivano fino a corso Vittorio Emanuele. 

E grazie a una manciata di gradini si può conoscere una città diversa grazie alla prospettiva che cambia. 

Guardatelo ancora oggi il golfo di Napoli, fatelo affacciandovi dall’imponente fortezza di Castel Sant’Elmo e dopo, fatelo di nuovo rubando l’orizzonte tra le curve e gli scaloni della Pedamentina o del Corso Vittorio Emanuele. A rifarlo ti innamori, sempre. Ogni volta.