De Sica e le tastieriste

Cerco di riportarvi dal cuore alla memoria: Pina, Silvia e Cinzia, Filomena, Anna...

Napoli.  

E adesso, alla Torre Francesco del Centro Direzionale, è emigrato anche il Mattino, abbandonando il Chiatamone e lasciando tra quei marciapiedi alle spalle del mare un po' di storia e un po' di poesia di Napoli.

Abbandonati lì, sotto il muro, assieme all'insegna del giornale frettolosamente ammainata. Perchè la poesia è poesia, ma il business è business e non valeva più la pena destinare quello splendido palazzo per fare un giornale che era il più grande quotidiano del Mezzogiorno e ora si dibatte in una crisi dell'editoria che coinvolge tutte le testate, dal Corrierone in giù. Scompare lentamente e inesorabilmente un mondo che i ventenni di oggi non conoscerano mai.

C'erano i dimafonisti, i tipografi, il proto, i correttori di bozze. E poi c'erano loro, le tastieriste. E quelli che hanno soltanto da qualche mese o da qualche anno il tesserino bordeaux in tasca si sono persi uno degli aspetti più poetici e intriganti del mestiere. Le tastieriste erano una categoria a parte, un luogo dello spirito, una categoria protetta. Protetta da noi, che senza di loro saremmo ancora a cercare di chiudere oggi una pagina di quotidiano del 1990.

Le tastieriste arrivavano serie, compunte e impettite e prendevano posto davanti al computer e a una pila di pezzi dattiloscritti (e talvolta manoscritti) che arrivavano dalle lontane province dell'impero grazie al miracoloso fax che i corrispondenti utilizzavano per farci arrivare i propri articoli.

E qualcuno di loro che non aveva voglia o soldi per andare a fare un fax dal tabaccaio chiedeva di essere richiamato per dettare il pezzo a voce. E quindi era essenziale il livello di feeling che si riusciva a conquistare con le tastieriste, perchè il pezzo digitato poteva essere consegnato e impaginato dopo 5 minuti o mezza serata.

 E così si finiva per entrare in confidenza con qualcuna di loro, a cui si finiva inevitabilmente anche per affidare o ricevere qualche scheggia di emozioni e di vita privata. Cerco di riportarvi dal cuore alla memoria: Pina, Silvia e Cinzia, Filomena, Anna, e sicuramente altre che dimentico. Qualcuna mi confidava sogni e speranze, a qualcuna confidavo sogni e speranze. Sembravate figure uscite dall'immaginazione di De Sica e Zavattini, eravate personaggi da neorealismo, di un dopoguerra che forse, a pensarci bene, non è mai finito.