La lettera di Natale ai fedeli salernitani dell'arcivescovo Andrea Bellandi

La citazione del messaggio di Papa Leone: "Ogni comunità diventi una casa della pace"

la lettera di natale ai fedeli salernitani dell arcivescovo andrea bellandi
Salerno.  

Riportiamo di seguito, integralmente, la lettera per le festività di Natale che l'arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, Andrea Bellandi, ai fedeli.

Carissimi/e fratelli e sorelle,

anche quest’anno, in occasione del Mistero santo del Natale, quando il Verbo si fa carne e viene ad abitare le nostre notti, desidero raggiungervi con un saluto colmo di affetto e gratitudine. Celebriamo quest’anno la nascita di Gesù mentre si avvia alla conclusione l’Anno giubilare, dedicato alla virtù della speranza. Un tempo di grazia, che ci ha invitati a rialzare lo sguardo e a rimettere al centro del nostro cuore quella straordinaria “Buona Notizia” che Dio si è coinvolto con la nostra vicenda umana; un evento così grande, da far scrivere a un grande autore dei primi secoli: “Cristo nasce, rendete gloria. Cristo discende dai cieli, andategli incontro. Cristo è sulla terra, alzatevi” (San Gregorio di Nazianzo, IV secolo).

L’Anno Santo che abbiamo celebrato ci ha invitati a tornare all’essenziale, a porre la nostra fiducia nell’amore di Dio che non delude, che entra nella storia con la forza mite di un Bambino e che accende nel mondo la luce che vince ogni tenebra. La speranza cristiana non è evasione dalla realtà, né ingenuo ottimismo: è la certezza, radicata nella storia, che Dio è fedele alle sue promesse, sorprendendoci sempre con la sua iniziativa. È Lui che può far fiorire anche il deserto, come ci ricorda il profeta Isaia, le cui parole abbiamo letto in queste settimane di Avvento: Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi”. Ciò che sembra impossibile che accada nel deserto – ovvero che proprio lì fiorisca un germoglio di vita – il profeta lo vede e lo annuncia. Allo stesso modo, nel “deserto esistenziale” che caratterizza il nostro tempo, noi tutti siamo invitati a riconoscere quella vita nuova che – a partire dalla nascita di quel Bambino a Betlemme – Dio non ha mai mancato di generare in coloro che l’hanno accolto: dai pastori che lo hanno adorato nella notte santa, ai poveri di spirito che in ogni epoca lo hanno accolto e riconosciuto come Salvatore della loro vita.

Questo annuncio di salvezza è destinato a tutti: Nessuno è escluso dal prendere parte a questa gioia, perché il motivo del gaudio è unico e a tutti comune: il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal peccato (Papa Leone Magno).

Per questo abbiamo la responsabilità di condividerlo con tutti. Lo ricordava papa Francesco: «Cristo è la nostra speranza. Lui è la porta della speranza, sempre. Egli è la buona notizia per questo mondo! E questa speranza non ci appartiene: la speranza non è un possesso da mettere in tasca. No, non ci appartiene. È un dono da condividere, una luce da trasmettere». Carissimi, lasciamoci attirare dal mistero di Dio che si fa uomo per donarci la sua vicinanza e per affidare a ciascuno di noi il compito di diventare testimone di speranza. In questo Giubileo abbiamo imparato che sperare significa anche assumersi responsabilità, trasformare la fede in gesti concreti di misericordia, giustizia e riconciliazione. È questo il fondamento di quella pace che tutti invochiamo, una pace “disarmata e disarmante”, come ama ripetere papa Leone, perché nasce dal cuore riconciliato con Dio e con i fratelli. Solo chi depone le armi dell’odio e del sospetto può costruire un mondo in cui l’altro non è più nemico, ma compagno di cammino. 

In questi mesi, i nostri occhi si sono spesso riempiti di immagini provenienti dalla Terra Santa e dall’Ucraina: terre ferite, dove il grido dei piccoli e degli innocenti sembra coprire ogni altra voce. A loro, e a tutti i popoli segnati dalla guerra, va il nostro pensiero colmo di compassione e di preghiera. Il Natale ci invita a credere che nessuna notte è troppo buia per essere vinta dalla luce che sorge da Betlemme. Dalla mangiatoia, il Bambino Gesù ci ripete che la pace è possibile, ma va costruita quotidianamente a tutti i livelli, partendo da coloro che hanno riconosciuto Colui che è il “Re della Pace”. Ai Vescovi italiani papa Leone ha detto: «Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa».

Carissimi, vi auguro che questo Natale rinnovi in ciascuno la gioia dell’incontro con Cristo e renda le nostre famiglie, le nostre parrocchie, le nostre comunità segni credibili di speranza e di pace, portatrici di un messaggio semplice e potente: Dio ci ama, e per questo possiamo ancora credere nel futuro. Vi accompagno con la mia benedizione e con la preghiera, perché ciascuno di voi possa sperimentare la gioia della speranza che non delude, la pace che nasce dal perdono, e la forza dolce della carità fraterna. 

Buon Natale a tutti, e un sereno anno nuovo illuminato dalla fede nel Signore.