Campagna, gli ebrei nel campo e l'umanità ritrovata

Un processo di scambio culturale tra la popolazione locale e gli internati produsse un miracolo

Campagna.  

 

di Claudio Mazzone

Riscoprire storie dimenticate per fare i conti con il proprio passato e per portare alla luce realtà che ci raccontano di ingiustizie e di grandi gesti di solidarietà e umanità, c è il vero senso di ogni giornata di commemorazione. Per questo nella Giornata della Memoria riportare alla luce una storia come quella del campo di internamento di Campagna può aiutarci a riscoprire una parte di un racconto nazionale che per troppi decenni è rimasta chiusa negli archivi storici senza riuscire a diventare parte di un racconto storico del nostro Paese.

Nel giugno del 1940 cn l’entrata in guerra dell’Italia al sistema del confino libero nei paesi della terra ferma e delle colonie di confino si affiancò quello dei campi di internamento e dei campi di concentramento, luoghi destinati destinati inizialmente a segregare ebrei e stranieri presenti sul territorio nazionale e poi i civili dei Paesi in guerra con l’Italia. I campi di internamento erano predisposti e controllati dal Ministero dell’interno, quelli di concentramento erano invece gestiti dall’esercito fuori da ogni controllo di legge.

Campagna nel giugno del 1940 era una cittadina di 11.000 abitanti, che offriva delle condizioni eccellenti sia dal punto di vista della difesa militare che dal punto di vista della segretezza, essendo circondata da monti e colline che ne limitavano la visuale. 

Fu immediatamente scelta dal Ministero dell’Interno per la predisposizione di un campo di internamento per ebrei. In tutta fretta furono utilizzati due conventi di proprietà del Comune l’ex-convento di San Bartolomeo e l’ex-convento dell’Immacolata Conezione, distrutto poi da un bombardamento. 

Nei primi mesi gli ebrei presenti erano già 430. In gran parte tedeschi e austriaci ma vi erano anche polacchi, cechi, e fiumani. Il campo aveva anche un rabbino, David Wachsberger, che  all’interno del campo esercitava le funzioni religiose cosa che aveva fatto fino al 1938 nella sinagoga di Fiume quando con l’entrata in vigore delle leggi razziali era stato privato della cittadinanza.

La presenza del campo di internamento rappresentò per Campagna l’occasione della scoperta dell’altro e si produsse un processo di scambio culturale tra la popolazione locale e gli internati. Le memorie degli internati ci raccontano di un continuo e sano rapporto di commistione tra loro e la comunità locale. Furono celebrati matrimoni misti, si aprirono confronti e dialoghi tra mondi che non si sarebbero mai incontrati. Si giunse ad una condivisione umana che superò la brutalità dei tempi e si espresse nella collaborazione. Quando Campagna fu colpita da un violentissimo bombardamento, che devastò la cittadina, i medici  ebrei internati nel campo prestarono soccorso alla popolazione e nessuno si preoccupò del fatto che per legge non potevano esercitare la loro professione in quanto ebrei.

Nel momento più basso e tragico della storia dell’umanità, a Campagna quegli esseri umani non si confrontarono come ebrei e cattolici, come italiani o austriaci o tedeschi o polacchi o cechi ma solo come persone che vivevano e condividevano le stesse difficoltà e le stesse sofferenze. Mentre fuori dalla cittadina salernitana protetta dai monti e dalle colline, il mondo continuava a dividersi su base razziale, a Campagna quegli uomini e quelle donne si riscoprirono semplicemente umani.

Quando i tedeschi, in ritirata risalendo la penisola, arrivarono nel campo di Campagna per sterminare gli internati, lo trovarono vuoto. Gli internati erano fuggiti tutti, aiutati dalle guardie che al posto di sorvegliargli gli assicurarono la libertà.