Teatro, fallimento annunciato. Così la città ha perso 40 anni

Il Gesualdo, dopo Mercatone e macello. Le grandi opere che avrebbero cambiato Avellino.

Ci sono poi tanti altri progetti andati male: sprecate tutte le occasioni per il futuro. Il tram è passato. Ci resta la filovia: che non partirà...

Avellino.  

 

 

di Luciano Trapanese

Il triangolo del fallimento annunciato. I simboli di un post terremoto che ha affossato Avellino. Milioni di euro al vento. Possibilità di crescita culturale ed economica della città rase inesorabilmente al suolo.

Un triangolo, tre vertici: mercatone, macello e teatro. Tre mausolei, crollati uno dopo l'altro. Concepiti male, progettati peggio: costruiti in previsione di una crescita demografica che non c'è mai stata. Da Palazzo de Peruta – all'epoca sede del consiglio comunale -, documenti su documenti annunciavano che Avellino tra il 2000 e il 2010 avrebbe avuto 100mila abitanti. Calcolo sballato. Sono poco più della metà. Come prima, meno di prima.

Il Mercatone è nato morto, lo sapete. Inaugurazione in pompa magna. Sembrava che il sol dell'avvenir dovesse illuminare da quel giorno l'intero capoluogo irpino. Frasi del tipo: ora è finito il dopo terremoto. Ma la puzza di cadavere in putrefazione la sentivano tutti. Per primi gli ambulanti: deportati da piazza Macello al Mercatone, si sono ritrovati nel nulla assoluto circondati dal cemento. Affari zero. Futuro zero. Tutti via, dopo pochi mesi di coraggiosa resistenza. Per non parlare della grande distribuzione. E dei commercianti che ci avevano creduto. Pochi clienti, struttura inadeguata e dopo poco tempo già a pezzi (a cominciare dalle infiltrazioni d'acqua).

Risultato: Mercatone chiuso.

C'è stato poi il macello comunale. Una grande idea. Troppo grande. Avrebbe potuto macellare il fabbisogno napoletano di carne. Una struttura spropositata, dai costi di gestione improponibili. Diversi tentativi di metterlo in funzione. Tutti miseramente andati male.

Risultato: macello chiuso.

C'è poi il Gesualdo. Fino a qualche anno fa il “fiore all'occhiello” della cultura avellinese. Ma era una bolla: costi di gestione troppo alti. Perché? Sempre lo stesso motivo: la grandeur di chi lo ha immaginato e l'errore palese di chi ha approvato il progetto. Duemila posti. Boom. Il San Carlo contiene 1379 spettatori. Il Mercadante 553. Il Verdi a Salerno 806.

No, ad Avellino il teatro doveva essere un teatrone. Una mega struttura che di fatto ha escluso tutte le piccole compagnie locali. Ha costretto gli organizzatori ha realizzare sempre e soltanto spettacoli nazionalpopolari. Ma i costi, anche solo per la pulizia e il riscaldamento, sono diventati presto improponibili. Un altro mausoleo.

Che poi sia stato anche gestito male si vedrà (Foti ha parlato di gestione scellerata). Il dubbio è che difficilmente si sarebbe potuto fare meglio. Semplicemente perché quel teatrone è fuori dalla portata di una città di 60mila abitanti.

Sarebbe – per semplificare – come costruire al posto del Partenio uno stadio da 70mila posti: a che serve?

E' servito: a far intascare quattrini a chi l'ha realizzato...

Risultato: teatro Gesualdo verso la chiusura.

Se a tutto questo aggiungete un tunnel inutile, l'inservibile rete per la rediviva filovia (non entrerà mai in funzione), lo spreco per il rifacimento di una piazza Libertà più brutta che mai, avrete il quadro della serie di fallimenti che hanno di fatto impedito ad Avellino una minima crescita sociale, economica e culturale.

Se volete possiamo aggiungere tutte le altre occasioni fallite: Casa della Cultura, Eliseo (ora il comune inizia a muoversi...), Dogana, Villa Amendola (a cosa serve?), Parco Santo Spirito (una buona idea gestita male). Un elenco sterminato di progetti falliti, soldi srecati e occasioni mancate.

Il Teatro ha resistito, tenacemente. Ma non si è riusciti a evitare la solita conclusione.

Ci sono tanti colpevoli. E quindi nessun responsabile. Ma il triangolo del fallimento (Mercatone, macello e Gesualdo), ha la stessa radice. Che riporta agli anni '80, alle spese senza senso. Ai progetti supermegaenormi che avrebbero dovuto inorgoglire una intera provincia. E gonfiare molte tasche.

Le tasche si sono gonfiate (tante). I progetti si sono dimostrati inadeguati. E Avellino ha perso quarant'anni. Oggi la città si risveglia, in piena crisi economica, e non resta che raccontarci quello che poteva essere e non è stato. E che purtroppo mai sarà.