Il Tribunale di Milano ha condannato 11 amministratori della Pirelli (quasi tutti ultraottantenni) responsabili di omicidio colposo e lesioni colpose ai danni di 24 operai morti o ammalatisi di mesotelioma pleurico, cioè la forma di tumore determinata dall'esposizione all'amianto, tra il 1977 e il 1988, nei reparti autocarri e mescole degli stabilimenti di Viale Sarca e Via Ripamonti. E' l'approdo il primo grado di un iter processuale travagliato che ha visto il pm Maurizio Ascione recuperare e coltivare questi complessi accertamenti dopo che ben due richieste di archiviazione proposte dal precedente pm erano state respinte. Un caso, quello della Pirelli, che ha moltissime analogie con la tristemente nota vicenda dell'Isochimica di Avellino. Il processo per la fabbrica dei veleni di Borgo Ferrovia si apre il 19 ottobre, e il dibattimento di Milano, come vedremo, può rappresentare un utilissimo precedente per gli ex operai e le parti offese individuate dall'inchiesta della Procura di Avellino che ha rinviato a giudizio 29 persone nei confronti delle quali si ipotizzano accuse che vanno dal disastro doloso e colposo all'omicidio plurimo, disastro ambientale, lesioni, falso in atto pubblico e abuso di ufficio. Le condanne di Milano sono importantissime non solo per i familiari delle 14 vittime accertate della Pirelli Tyre, ma più in generale rappresentano un punto di svolta nella mappa processuale dell'amianto in Italia. Basti pensare che gli 8 morti della centrale Enel di Turbigo e i 32 morti della fabbrica Franco Tosi di Legnano non hanno mai ricevuto giustizia perché i processi si sono conclusi tutti con l'assoluzione. Finora solo il processo di Casale Monferrato aveva fatto scuola, ora c'è anche Milano.
Le analogie.
La prima: il periodo di esposizione all'amianto e le difficoltà di accertamento del nesso tra esposizione e insorgere della patologia. Parliamo degli anni che vanno dal 1977 al 1988 nel caso di Milano. Ad Avellino gli operai dell'Isochimica hanno scoibentato carrozze ferroviarie per conto dello Stato nella fabbrica di Elio Graziano nel periodo 1983-1988.
Nella sua requisitoria il pm di Milano ha sottolineato la profondità e il radicamento nel tempo di una situazione di pericolo che avrebbe reso necessario un intervento strutturale. Invece in alcune riunioni del cda della Pirelli si sarebbe parlato solo di provvedimenti contro gli infortuni sul lavoro, come se quello delle malattie professionali fosse un tema secondario. E alcuni operai hanno testimoniato che quando provavano a chiedere un miglioramento delle condizioni di sicurezza ricevevano come risposta “taci e lavora”.
Anche ad Avellino, gli operai di Pianodardine hanno più volte raccontato di un clima di omertà e terrore che si era instaurato in azienda, soprattutto dopo le prime ispezioni ottenute dopo le denunce di pochi coraggiosi lavoratori che chiedevano maggiori misure di sicurezza per la loro salute. Chi non ricorda le parole del patron Elio Graziano che all'epoca dichiarò pubblicamente che la “coca coca faceva più male dell'amianto”: si tentava di minimizzare il rischio, forse per mancanza di dati scientifici certi (erano i primi anni in cui si cominciava a parlare di malattie amianto correlate) o forse perché era necessario tenere saldo il patto scellerato tra la legge del più forte e quella del profitto.
Oggi finalmente un Tribunale, quello di Milano, ha riconosciuto che morire sul lavoro è reato. La difesa è pronta a presentare appello perché, “Sulla base delle evidenze scientifiche ad oggi disponibili – hanno detto i legali dei condannati - siamo certi di dimostrare la correttezza dell'operato dei nostri assistiti per fatti di oltre 25 anni fa”.
Ad Avellino sono passati 30 anni e il timore, più volte espresso dagli operai, è che gli inquirenti non riescano a ricostruire con la necessaria accuratezza gli eventi che si sono succeduti. I pm intestatari della maxi inchiesta, Roberto Patscot ed Elia Taddeo, coordinati dal procuratore Rosario Cantelmo, ci stanno lavorando da quasi due anni, ininterrottamente, per acquisire tutte le informazioni utili a sollevare il velo di reticenza che ha sempre coperto la vicenda Isochimica, a tutti i livelli.
Poi c'è il nodo scientifico da sciogliere e le responsabilità penali. La sorte di questi processi ruota tutta attorno all'ardua possibilità di individuare il periodo della vita lavorativa di ogni operaio malato durante il quale l'esposizione all'amianto abbia generato la malattia. A Milano il giudice monocratico ha optato per una risposta scientifica differente, a suo modo “rivoluzionaria”. Posto infatti che l'esposizione lavorativa all'amianto degli operai si è protratta per un lungo arco di tempo nel corso del quale si sono succeduti diversi responsabili dell'organizzazione del lavoro, e dato che non si sa quale sia la durata del periodo di induzione, era impossibile individuare di conseguenza quali fossero gli amministratori che in quel periodo rivestissero posizioni di garanzia tali da farne discernere una responsabilità penale (e non semplicemente storica o morale), pertanto alla fine sono stati condannati tutti, anche i tre amministratori per i quali lo stesso pm aveva proposto l'assoluzione per il breve tempo della loro dirigenza in fabbrica.
Nel caso di Avellino individuare le persone che avrebbero dovuto controllare e agire per tutelare la salute di operai e cittadini non è stato facile. Tant'è che alla fine i rinviati a giudizio sono 29, e in questo elenco sono stati inseriti anche ex amministratori pubblici del Comune (la giunta del 2005) e funzionari dell'Asl. Elio Graziano, l'anziano patron dell'Isochimica, insieme a Vincenzo Izzo e Pasquale De Luca responsabili della sicurezza all'interno della fabbrica, con i funzionari delle Ferrovie dello Stato (Aldo Serio, Giovanni Notarangelo, Mauro Finocchi e Silvano Caroti), condivide le accuse sicuramente più gravi che vanno dall'omicidio colposo plurimo al disastro ambientale continuato.
?Le condanne di Milano.
Alla fine del processo in primo grado per i morti di amianto della Pirelli Tyre sono stati condannati coloro che a vario titolo i giudici hanno individuato come i responsabili di quei decessi: 7 anni e 8 mesi sono stati inflitti a Luciano Isola. 6 anni e 8 mesi a Guido Veronesi (fratello del noto oncologo ex ministro Umberto) e 5 anni e 6 mesi anche per Piero Giorgio Serra, ex presidente dell'associazione italiana per la ricerca sul cancro. 5 anni e 6 mesi a Gavino Manca, 4 anni e 8 mesi a Ludovico Grandi, 3 anni e 6 mesi a Omar Liberati e Gianfranco Bellingeri. 3 anni ad Armando Moroni. I condannati, in solido con la Pirelli Tyre spa dovranno versare una provvisonale di 200mila euro a moglie e figlia di un operaio morto, 300mila euro all'Inail e 20mila a Medicina Democratica e Associazione italiana Esposti Amianto. Le parti civili a Milano sono già state risarcite nel corso del processo. Ad Avellino i morti accertati da amianto dell'Isochimica sono almeno 7 secondo quanto ha accertato la Procura, venti secondo gli ex lavoratori. Per nessuno di loro, tranne che per un operaio deceduto a Salerno (Carmelo Iacobelli, morto a 56 anni per mesotelioma pleurico) sono state riconosciute indennità economiche. 237 le parti offese individuate dall'inchiesta. Il processo si apre il 19 ottobre nell'aula magna del Centro sociale Samantha della porta di Avellino.
L'auspicio è che si concluda in tempi brevi e che alla fine gli operai di Avellino possano pronunciare le stesse parole pronunciate da quelli di Milano, soltanto ieri: “Finalmente ce l'abbiamo fatta a farli condannare”.
Rossella Strianese