Non è “La recita di Bolzano” di Sandor Marai, un elegante melodramma poetico e vibrante con al centro la storia di un eroe che “rassomiglia maledettamente a quel viandante intrepido, apolide e tutto sommato, io credo, infelice” di Giacomo Casanova, ma, molto più dimessamente, la cronaca di una recita paesana, squallida e prevedibile, che coinvolge la martoriata Avellino.
Nell’aula del Consiglio comunale, ieri l’altro, in un pomeriggio da cani, con tanto di claque sportiva al seguito, si è chiusa una vicenda amministrativa che da circa un anno disturbava la quiete pubblica con rumori e versi più riconducibili alla celebre fattoria raccontata da George Orwell che al luogo della rappresentanza civica della città.
Al grido di “tradimento” è calato il sipario su 12 mesi indigesti
Al grido drammaturgico di “tradimento” - dove sei Harold Pinter? - abbiamo assistito alla conclusione enfatica di un peplum indigesto, che da dodici mesi accompagnava la quotidianità cittadina a suon di cambi di assessori - non ricordo il numero e i nomi di signore e signori a vario titolo seduti per qualche ora al tavolo della giunta -, e di impagabili esercizi di finzione, sostenuti con caratteri bronzei e d’ordinanza da vari organi di stampa locali.
Sconfortante, lo dico per inciso, il tono e la qualità del linguaggio usato, una sorta d’imparaticcio a memoria su un canovaccio scolastico che mi spinge ad essere indulgente, da vecchio professore, verso un impianto espressivo privo del tutto di una base concettuale e politica, che lascia perplessi sulla qualità degli audaci suggeritori infilati maldestramente nella buca del palcoscenico a leggere il copione.
Sarebbe stato meglio sul piano della resa teatrale, forzando l’iperbole e sfidando il paradosso, consigliare di rivolgersi ai dotti assiepati sui sacri scanni consiliari con dei versi di Sergio Solmi: “O voce assorta, procellosa e dolce,/ folta di sogni,/ quale rapiva i marinai in mezzo/ al mare, un tempo, canto di sirena”. Ma la cultura non s’inventa né suggerisce improvvisate soluzioni del cruciverba.
Come dilettanti alla Corrida hanno deciso di far calare il sipario
Tutti i rappresentanti, da destra a sinistra dell’emiciclo, sostando per l’affollato centro di niente, al di là del voto espresso sul bilancio consuntivo, hanno convenuto, con il pathos divertente dei dilettanti alla Corrida, di trovarci di fronte ad un esiguo ma cattivo gruppo di badogliani che hanno voluto a tutti i costi mettere fine ad una esperienza fatta di sorrisi e di gentilezza e null’altro, quasi fossimo ad un corso per hostess anziché a dover fare i conti con l’amministrazione di una città in crisi, devastata da problemi strutturali ciclopici.
Tutto comincia con la revoca di 7 assessore che l'avevano fatta eleggere
Ma veniamo al nocciolo della questione. Perché i cosiddetti fedeli dell’assente-presente conte Ugolino della Gherardesca avrebbero tradito se la Vice per definizione aveva iniziato la sua personalissima e poco paolina marcia su Damasco? Perché non avrebbero dovuto in sostanza sfiduciarla dopo la revoca di ben 7 assessori, ossia di coloro che le avevano consentito di diventare incredibilmente sindaco di Avellino con vagoni carichi di preferenze nel giugno dello scorso anno? Perché non considerare i reiterati, a tratti, puerili inviti alle opposizioni a diventare maggioranza un atto ostile verso quello che con insistenza veniva definito, dietro un imbarazzante quanto sciocco suggerimento che esplicita una condizione pregressa di servilismo e obbedienza, “un re solo”?
Se la conversione fosse stata autentica si doveva invocare e praticare un radicale cambiamento di rotta, rifiutando il voto dei suoi vecchi compagni d’avventura, di fede e di passione, per riprende il grande Croce, e non cercare di conquistarne alcuni attraverso la sgradevole pratica del trasformismo molecolare. Oppure. Il tutto manifesta una conversione funzionale, determinata dal bisogno numerico della sopravvivenza.
Trovare chi è il traditore e chi il tradito un gioco come un rebus da spiaggia
In questo scontro tra ‘titani’ dell’Etica pubblica, litigiosi ma inseparabili come racconta un noto proverbio della tradizione popolare toscana, trovare chi è il traditore e chi il tradito risulta un gioco degno di un rebus da spiaggia. In realtà cinque anni d’intensa, illimitata, supina e acritica collaborazione, ripeto fino alla noia, certificati da immagini assai tristi e da verbali redatti dalla magistratura inquirente, con quello che oggi diventa per incanto il male assoluto - per me solo la conseguenza sciagurata e a tratti amaramente comica di un crepuscolo politico di lunga durata -, non si possono cancellare scusandosi verbalmente con gli elettori. La politica, quella vera, è una cosa terribilmente seria e richiede conoscenze, competenze e coraggio, il contrario della estemporaneità e della superficialità che hanno dominato questi lividi e mascherati anni di decadenza e corruttela pubblica.
Usare la parola tradimento quindi è illogico e dimostra, implicitamente, quanto ai personaggi della recita interessasse soltanto restare a galla con la stessa disperata violenza dei naufraghi della Medusa e non certo per il tanto urlato quanto stantio bene della crocifissa Avellino.
Pd irpino salvato dall'ennesima figuraccia
Anche il PD irpino, salvato suo malgrado questa volta dall’ennesima figuraccia dal bergamasco Antonio Misiani, commissario regionale del partito e portavoce delle intelligenti indicazioni del Nazzareno, si è rifugiato come un pugile suonato nel proprio angolo accusando, con toni oscillanti tra il falsetto e l’aggressivo da bar sport, i suoi avversari di tradimento. Ma di cosa? Perché le scelte di un contendente dovrebbero convergere sulle proprie posizioni? Come è possibile che l’analisi politica possa fermarsi in maniera così primitiva nel vestibolo dei problemi senza indignare il cittadino-spettatore?
Per un perverso gioco dei contrari alla fine della fiera l’esercito malconcio del noto nemico del buon governo - “il traditore, dal traditore tradito” -, qualche goliardico giocatore di dadi e i democratici per statuto si sono ritrovati con l’ariete tra le mani per sfondare la porta del più diroccato dei manieri senza poter dare ai propri militi licenza di saccheggio.
Il commissario di governo ripristinerà ordine e serietà nell'ente
Il voto del giorno 17 luglio è stato salvifico, affidando la cura dell’istituzione comunale a un commissario di governo che certamente ripristinerà ordine, operatività e serietà all’ente. Anche in questo caso però tanti illuminati ‘giuristi’ del foro di corso Vittorio Emanuele hanno iniziato un pianto lamentoso sulla disgrazia del commissariamento.
Le prefiche hanno intrapreso come da copione un elogio molesto della defunta amministrazione per gesta sconosciute ma pur sempre meritevoli di essere celebrate nel momento dell’addio.
Si sono sprecati gomitoli d’ipocrisia, concedendo a piene mani solidarietà umana al gruppo di coloro che intendevano salvare la propria carica dal pericolo di un Commissario e ancor prima dalle fauci dell’affamato novello Ugolino, oramai destinato a raggiungere il suo remoto antenato alla fine del canto XXXII (versi 124-139) e la prima parte del XXXIII dell’Inferno dantesco (versi 1-90), seconda zona dell’Antenora, nel nono cerchio, riservato ai traditori della patria, dove le anime sono immerse nel ghiaccio, e forse lo ritroveremo anche in compagnia dei dannati Branca Doria e Frate Alberigo di Ugolino dei Manfredi, nella terza zona del nono cerchio (detta Tolomea), dove vengono puniti i traditori degli ospiti, come ben sanno i colti e avveduti consiglieri comunali di Avellino.
Siamo alla recita di un copione sgrammaticato e impresentabile
Anche in questo caso siamo alla recita di un copione sgrammaticato e impresentabile. Il pericolo ora diventa lo Stato e non un ceto politico-amministrativo inadeguato e incompetente. Come ci ricorda il titolo di un libro del presidente Francesco Cossiga, anche in questa occasione, “italiani sono sempre gli altri”.
La recita di Avellino comunque non è ancora finita. Saremo tormentati da botte e risposte per tutta l’estate e dovremo evitare il più possibile di ascoltare i grilli parlanti di mestiere, oggi più di ieri, pronti ad esprimere le proprie sagge considerazioni sull’accaduto del 17 luglio.
Intanto i naufraghi, le comparse di un momento, le presunte vittime, i registi occulti, i praticanti del conflitto d’interesse spudorato, si riorganizzeranno e tra un anno li ritroveremo puntualmente in campo per contendersi “il primato del tradito”. Inoltre siamo già pronti alla riapertura del sinedrio delle opposizioni d’ufficio per rilanciare il cosiddetto campo largo, ossia quel curioso e angusto spazio colmo di malmostoso moralismo ma anche di tanta buona fede, che intende coniugare la propria auto-riconosciuta saggezza con i voti che non ci sono. Gli errori hanno un fascino soprattutto quando si reiterano con edonistica, consapevole insistenza.
Senza trascurare che nel prossimo novembre si vota per le regionali e rivedremo in scena personaggi d’avanspettacolo che intendono spiegarci come il trasformismo e l’opportunismo siano beni preziosi e inalienabili del politicante del Mezzogiorno, orgoglioso della sua sfrontata ignoranza e di quella storica, infame immoralità che resta nucleo genetico della irrisolta “Questione meridionale”.
A noi cittadini liberi, egoisticamente, non resterebbero che lo sguardo delle marine, il verde dei giardini, l’erba di una pianura e la deriva del vento - tutte immagini estratte disordinatamente dalla poesia di Alfonso Gatto -, ma in realtà potremo essere giudici e protagonisti di un credibile, memorabile quanto rivoluzionario cambiamento sapendo scegliere tra la ‘qualità delle persone’ e i falsi profeti. Basterà solo volerlo: con ambiziosa virtù critica, voglia infinita di democrazia e rigoglioso buon senso.
Senza volerlo, probabilmente eco di antiche letture e di amati studi, mi accorgo nello spiegare la recita avellinese di avere adoperato parole del più classico dei linguaggi giacobini e la cosa in questo caso non mi dispiace affatto.
L'autore è professore ordinario di Letteratura italiana Dipartimento di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale
