Ogni anno celebriamo la memoria del terremoto del 1980 come un rito collettivo, ma continuiamo a ignorare la sola forma di prevenzione realmente efficace: piani comunali aggiornati, chiari, funzionanti. È scandaloso che nel 2025, in una delle aree più sismiche d’Italia, la macchina della protezione civile continui a incepparsi proprio nella fase cruciale della preparazione. Ci si commuove davanti alle immagini del passato, si allestiscono mostre costose, ma poi ci si accorge che i Comuni non sono pronti ad affrontare nemmeno una scossa moderata.
Il caso Paternopoli e il ritardo ventennale
Paternopoli è l’esempio perfetto: un comune colpito da una scossa di terzo grado appena tre settimane fa e che da vent’anni non metteva mano al piano di protezione civile. Venti anni. Un’intera generazione di cittadini lasciata senza una guida aggiornata su cosa fare in caso di sisma. E quando finalmente si decide di agire, lo si fa sull’onda della paura, non della programmazione. L’esercitazione organizzata in questi giorni è lodevole, certo, ma arriva dopo due decenni di immobilismo amministrativo. Un ritardo che non può essere considerato normale, né tollerabile. Il quadro appare ancora più inquietante se si guarda a come vengono organizzate queste esercitazioni: l’intero peso operativo ricade, quasi sempre, su associazioni di volontariato. Misericordie, gruppi locali, giovani reclutati con passione ma non necessariamente con competenze strutturate. Il volontariato è un valore prezioso, insostituibile nella prima accoglienza e nel supporto alla popolazione. Ma trasformarlo nella colonna portante dei piani di protezione civile è una distorsione pericolosa. Il soccorso, quello vero, richiede professionalità, mezzi, addestramento continuo, protocolli rigorosi. Il volontariato non può diventare il surrogato stabile di ciò che spetterebbe a strutture comunali e regionali preparate, presenti e responsabili.
Avellino: tra mostre costose e piani obsoleti
E poi c’è Avellino. La città capoluogo ospita in questi giorni la mostra “Terremoti d’Italia”, una struttura imponente, onerosa, spesso deserta. Uno strumento didattico utile in teoria, ma fuori scala rispetto alle reali carenze del territorio. Perché mentre si investono risorse ingenti in allestimenti scenografici, il piano comunale di protezione civile rimane datato, inefficace, lontano dalle esigenze di una città complessa. Il paradosso è evidente: si spende per raccontare cosa sono i terremoti, mentre non si investe per prepararsi davvero ad affrontarli. Una contraddizione che grida vendetta. La verità è semplice e scomoda: aggiornare un piano comunale costa poco. Molto meno delle mostre itineranti, dei tendoni multimediali, degli eventi celebrativi. Ma soprattutto, costa infinitamente meno delle vite umane che un piano inefficace non potrà salvare. Continuare a rimandare, rinviare, affidare tutto all’ultimo minuto significa esporre migliaia di persone a un rischio inutile. E significa tradire l’eredità più dolorosa del 1980: la consapevolezza che la prevenzione non è un optional, ma un dovere. È tempo che Regione, Comuni e Protezione civile smettano di rincorrere l’emergenza e inizino a preparare il futuro. Aggiornare i piani, formare il personale, coordinare professionalità vere, responsabilizzare i sindaci. L'Irpinia non può vivere di ricordi, commemorazioni e simulazioni a giorni alterni. Ha bisogno di protezione reale, quotidiana, continua. E se quarantacinque anni dopo siamo ancora qui a discuterne, allora significa che la lezione non l’abbiamo imparata affatto.
