Diario di un terrone fuorisede. Neve, febbre: disfatta sudista

La vita di un ragazzo del sud in Trentino. Disavventure e un sogno: la parmigiana di mammà.

Lì dove non esistono mezze stagioni e le nevicate non sono una festa. La prima febbre senza l'abbraccio caldo della famiglia diventa una divertente questione filosofica sul senso della vita di un terrone conclamato.

di Pasquale Cuomo

Andare all’università, quale scelta migliore per garantirsi un futuro ricco e pieno di soddisfazioni. Certo se scegli di andare a Filosofia la parola “ricco” viene automaticamente meno, ma tant’è. La vera domanda è dove andare a fare questa università?
Chiariamoci. Io sono meridionale, “terrone”, e dal profondo sud ho deciso di salire fin su in Trentino- Alto Adige Sud Tirol per proseguire i miei studi. Fin qui nulla di nuovo. Siamo in migliaia a partire dalla terra del “sole, mare, cuore” per andare nelle lande desolate e fredde del nord, non staremo qui a dire il perché ma semplicemente a raccontare brevi spezzoni di vita e adattamento. Questo primo racconto lo chiameremo “Neve”
Quando vieni dalla provincia di Avellino un po’ di neve, e conseguenti disagi, nella tua vita l’hai vista, a Gennaio magari, possibilmente dopo le vacanze di Natale così da far restare le scuole chiuse ancora un po’ o per rompersi qualcosa camminando sul corso di Avellino. Ma non siamo qui per polemizzare, per quello ci sono i giornali.
Dicevo, alla neve ci siamo abituati. A Gennaio, non a Novembre. Ed è qui che inizi a sentirti un po’ terrone fuori sede, non è che non esistano le mezze stagioni, non esistono gli equinozi e tutto il resto.

Quando allora finisci la tua ultima lezione di Filosofia Morale e respiri la libertà prima dell’angoscia per gli esami ecco che cadono i bianchi e soffici fiocchi. Abbracci, gioia e danze (ovviamente di chi è sotto Milano).
“Sotto Milano tutti terroni”, motto ufficiale del Trentino.
Mentre un campano, una pisana e un marchigiano, dei quali vi parlerò prossimamente, erano in estasi i nordici, quelli temprati e abituati sentenziavano “Ma non è mica neve vera questa”.

Ora se vivi a Trento e a dieci minuti di macchina hai i monti e la “capa a violino” il primo pensiero è montare sulla fiat cinquecento scassata del tuo amico, senza catene, probabilmente senza freni: il motivo? Andare a fare la battaglia di palle di neve, che domande. Le cose quando sei fuori sede le puoi prendere veramente come vengono e questa è una libertà meravigliosa
“Mamma, papà, vado in montagna mentre nevica” è una formalità che puoi evitare.
“Mamma, papà, vado in montagna mentre nevica”… ah no! No perché la macchina non aveva catene, freni ed era scassata. La fiat cinquecento bianca, chiamata “Mara”, dal capellone trentino che tutti conoscono come Santo, non ha retto la fatica. Se non ce la fa una macchina che viene usata, con decisamente poco criterio, per questi scopi, perché dovrebbe farcela un terrone? Questo mi domando mentre seduto nella neve mangio la merenda del vero trentino: pane e speck.
E infatti il terrone non ce l’ha fatta.

“Neve e febbre a quaranta”
Scrivo di questo episodio a tre giorni di distanza e ho avuto il tempo di ponderare sull’accaduto. Il responso? Non ho più l’età né l’ubicazione geografica per fare certe cose, a ricordarmelo ci pensano il termometro, il mal di gola e il pensare che no, senza mamma non si vive. Chi te la fa la parmigiana di melanzane quando sei malato?

Gli stereotipi sono stereotipi e va bene, però quando ti ritrovi da solo e a letto totalmente inabile perché piegato dalla febbre un po’ ti spaventi. C’è da dire, però, che si mette in moto un meccanismo strano, una solidarietà innata tra universitari. Il tuo coinquilino che rischia di far esplodere la casa per farsi un tè (questa è un’altra storia) diventa un perfetto aiutante, pronto a sostenerti, mentre l’altro, quello che viene dalla Val di Fiemme, un metro e novanta, capelli biondi e occhi azzurri, che sembra più tedesco che italiano riesca addirittura a cucinare senza far morire tutte le nonne terrone.

Non c’è molto da raccontare di questi tre giorni di malattia, nulla di divertente almeno: qualcosa di umiliante però sì. E’ normale che tre ventenni in buona salute, almeno due di loro, non riescano a far scendere la colonnina di mercurio del termometro? E’ umiliante. Misurare la febbre non è mai stato così difficile e tragicomico. Mentre penso alla disfatta meridionale, piegato dal freddo trentino cerco di far scendere il termometro, aspettare cinque minuti e poi sperare che la tachipirina, mia fedele alleata, faccia la sua magia, mi vengono alla mente le parole di un uomo saggio ma distante: mio padre.
“Invec r ij ngopp a nev ch’e signurin, mitt a sciarptell”. Mai parole furono più sagge.
Per oggi dal terrone fuori sede e tutto, sperando che alla prossima ci siano cose più liete da raccontare e possibilmente da raccontare senza sentirsi un rottame.
Ps: la vera cura è la parmigiana di melanzane, quella del pacco da giù.