Lavorare non basta, crescono i poveri con lo stipendio

Dati drammatici in Campania. Il 20 per cento degli occupati sotto la soglia di povertà.

Non avrebbero neppure diritto al reddito di cittadinanza. Per i giovani la crisi è ancora più acuta. In aumento esponenziale i neet: ragazzi che hanno rinunciato a cercare occupazione. Aumenta l'emigrazione...

 

 

di Luciano Trapanese

Quando si parla del Sud, il dato per confermare la crisi è quello riferito alla disoccupazione. Ma non è il solo, anzi. Un altro aspetto conferma il disagio nel quale sono costrette milioni di famiglie – e quasi tutti i giovani -, e riguarda il numero in continuo aumento dei lavoratori poveri. In Italia l'undici per cento degli occupati è al di sotto della soglia di povertà. In Campania il dato supera il venti per cento. E non comprende un'altra fetta di “occupati”, quelli che non hanno la minima tutela: i lavoratori in nero.

Tutto questo incide anche su un altro aspetto: un campano su due (fonte Istat) è a rischio povertà.

La questione dei “lavoratori poveri” è spesso legata alla tipologia di contratti: precari, part time (imposti). Ma tra loro ci sono anche full time con stipendi minimi.

Anche questi lavoratori a basso reddito rientrano tra i 7,3 milioni di italiani che non possono concedersi il necessario (il 26 per cento in Campania). E per i quali – oltretutto – il reddito di cittadinanza non avrebbe nessuna efficacia (non sono disoccupati).

Ora, se è vero che la crescita della produttiva in Italia è molto al di sotto di quella registrata dal '95 in altri Paesi europei (Germania più 30 per cento), è comunque stimata intorno al 10 per cento. Di contro i salari sono fermi da 23 anni. Non c'è stato quindi – come sarebbe stato logico – un allineamento tra stipendi e produttività. Un aspetto che ha ridotto in modo enorme il potere d'acquisto e divaricato la forbice tra chi ha molto e chi quasi nulla.

Spesso, dunque, lavorare non basta per sottrarsi al macigno della povertà. Risultato: a usufruire delle mense Caritas ci sono anche tanti occupati, quasi tutti precari.

Nei giorni scorsi sono stati riportati gli studi di un'altra ricerca: l'Italia è il Paese europeo con il minor numero di laureati. Ma non solo, i laureati italiani sono quelli che trovano meno lavoro. E chi lo trova, sempre più spesso, è sottopagato e precario.

Tutto questo ha effetti su un altro dato in costante crescita, quello dei cosiddetti neet: i giovani tra i 18 e i 34 anni che hanno rinunciato a studiare, a formarsi e a cercare un lavoro. Magari si guardano intorno e vedono coetanei che si impegnano duramente per 5/700 euro al mese e dopo un anno sono per strada. O amici laureati con il massimo dei voti che rimbalzano su una interminabile serie di porte sbattute in faccia.

L'Italia ha il più alto numero di giovani neet, quasi il 25 per cento (in Olanda sono il sei). Più della Bulgaria (che è seconda).

La Campania è prima in questa classifica (dati Istat). I neet sono 361mila (in Lombardia 206mila). Si aggiungono – esclusi i disoccupati – a 171mila ragazzi sottopagati, 656mila con part time involontario e 415mila che lavorano in attività non qualificate. Una intera generazione costretta alla povertà. Che è anche la motivazione che spinge tanti di loro ad andare via. In dieci anni sono partiti – spesso per non tornare più – più di 200mila giovani campani. Ma l'esodo continua. E sempre secondo l'Istat entro il 2050 la regione perderà più di un milione di abitanti. Due milioni e trecento entro il 2065. La desertificazione di una regione destinata a diventare sempre più vecchia. Un destino che riguarda tutto il Mezzogiorno.

Sono i numeri di un disastro che si aggrava di anno in anno. E che è stato palesemente ignorato – o sottovalutato – da tutti i governi. Nel Sud ci sarebbero spazi, energie, voglia e intelligenze per modificare questo andamento. Servirebbero politiche industriali, del lavoro, investimenti in infrastrutture e incentivi fiscali per imprese vecchie e nuove, progetti collegati all'Europa (innovazione tecnologica in primis), alla centralità nel Mediterraneo (e quindi trasporti e altro). Un piano strutturato, completo e da attuare per gradi. Senza i vecchi (e anche dimenticati), fondi a pioggia. Ma, oltre alle consuete promesse, si fa poco e spesso male. E con questo quadro, temiamo, quel cosiddetto reddito di cittadinanza (in realtà un sussidio di disoccupazione), potrebbe non spostare di una virgola il disagio. E non rappresenterebbe comunque la svolta che il Sud aspetta. Soprattutto il Sud che non pretende elemosine e assistenzialismo. Quel Sud dei giovani che partono. Non per scelta, ma per disperazione.