Atto unico. Sipario. Musica: Verdi. Scena: Avellino, Consiglio comunale.
Nel ruolo della Violetta Valéry dell’Irpinia, Laura Nargi – che, al posto del tisiaco “Addio del passato”, ha scelto come aria finale un j’accuse recitato con voce rotta ma petto in fuori: «Non ci starò mai. Mai!». Un addio? No. Un “vediamo se mi commissariano” cantato con la passione di chi sa che i riflettori potrebbero spegnersi da un momento all’altro, ma che si ostina a restare sul palco a microfono aperto.
Una scena struggente, se non fosse che i tenori e i baritoni intorno a lei sembrano più usciti da un casting per Avanspettacolo Avellinese che da un’opera lirica. Altro che Verdi, qui servirebbe Nino D’Angelo.
Coro dei consiglieri:
Chi intona il "noi non siamo attaccati alle poltrone", chi il "è venuto meno il rapporto fiduciario", chi ancora – col tono del cardinale Richelieu de' noantri – propone un’uscita “dignitosa”.
Nel frattempo, mentre la povera Violetta-Nargi piange i suoi assessori persi e i 150 milioni di euro salvati, tra i banchi c’è chi controlla il telefono, chi si aggiusta la cravatta, chi fa il conto dei prossimi venti giorni come se si trattasse della Quaresima amministrativa.
Il regista pentito (alias Gianluca Festa), un tempo demiurgo incontrastato del municipio, ora dirige l’orchestra dal fondo della platea: a bacchetta abbassata, ma ancora con l’occhio sul sipario. I suoi ex scudieri – tra cui i neoconvertiti Mazzeo e D’Avanzo – si dissociano con la convinzione di chi si è accorto tardi che il Titanic affondava davvero, e ora vogliono il salvagente politico personalizzato.
E il Pd?
Applausi a scena aperta. Luca Cipriano, nella parte del Don Basilio moralizzatore, parla di cinque anni di gestione sulle montagne russe, parcheggi svenduti e spettacoli per pochi intimi. Fa il suo dovere di oppositore, ma si percepisce che sotto sotto si diverte. In fondo, vedere un avversario che si suicida politicamente in diretta è un privilegio che pochi oppositori hanno avuto: in Avellino tutto è possibile, purché sia tragicomico.
Gli spettatori, intanto, applaudono… a distanza.
Perché, miracolosamente, il dramma è rimasto dentro i confini della provincia. Nessuna apertura sul Tg1, nessuna breaking news nazionale. Qualche anno fa bastava un comunicato da piazza del Popolo per far traballare un ministro. Oggi, l’unica cosa che traballa è il microfono della sala consiliare, mentre i consiglieri si urlano addosso accuse, anatemi e “non ti voto manco morto!”.
Conclusione (col piattino del tenore in mano):
Laura Nargi ha intonato il suo canto del cigno. Magari sperava in una standing ovation, ma ha ricevuto solo un fuggi fuggi di consiglieri e l'eco di un “riformula il bilancio o salta tutto”. Ora restano venti giorni – che in Irpinia sono come il tempo di digestione di una castagna lessa: lenti, ma esplosivi – per capire se nascerà un governo Nargi bis, o se si chiude la stagione con la recensione più temuta: “non pervenuta”.
Sipario. Ma il pubblico resta vigile. Perché, si sa, in Irpinia la tragedia è sempre in replica.