Auguri al "re della bandierina", Juary compie 60 anni

Arrivò ad Avellino appena ventunenne e fece la storia: "L'Irpinia per sempre nel mio cuore"

Avellino.  

Juary Jorge dos Santos Filho, più semplicemente Juary, ha appena compiuto 60 anni.

Il “re della bandierina”, che ha fatto sognare come pochi altri i tifosi dell'Avellino, è da tempo tornato nel suo Brasile dopo aver allenato in Cina: si sta godendo la famiglia e mentre attende, con serenità e senza assilli qualche progetto allettante per tornare ad allenare, si diletta con qualche ospitata negli studi televisivi locali. Contattato da Ottopagine.it e 696 TV OttoChannel, nel prendere coscienza che nella sua Irpinia in tanti stavano aspettando questo giorno per tributargli i più sinceri auguri, l'ex attaccante non ha nascosto la sua commozione: “Grazie per il pensiero, un saluto a tutti i tifosi biancoverdi, che sono sempre nel mio cuore. Gli anni passano, ma non cancellano l'amore che ho nei loro confronti. Avellino è una parte importante, speciale, della mia vita. Se Dio vuole un giorno tornerò per abbracciarvi tutti."

È questa l’estrema sintesi dei pensieri e del messaggio indirizzati al popolo che lo ha amato come pochi altri e che anche lui, che pure in carriera ha vinto un campionato Paulista con la maglia del Santos; un campionato, una Coppa e una Supercoppa del Portogallo, ma, soprattutto una Coppa dei Campioni (con tanto di gol decisivo in finale, contro il Bayern Monaco), oltre a una Supercoppa Uefa e una Coppa Intercontinentale, tra le file del Porto, porta dentro come la famiglia che lo ha formato come uomo ancor prima che come calciatore, nel momento dell'approdo in Europa.

Oggi, però, meglio lasciare spazio alle emozioni più intime, anche se viene quasi spontaneo ripiombare nei ricordi e negli aneddoti, in primis quelli con il commendatore Sibilia, che ebbe il merito di scoprirlo e portarlo in Italia nell'anno dell'apertura delle frontiere agli stranieri. Le pagine di storia scritte dall'esile ma letale attaccante brasiliano, più volte sfogliate con nostalgia quasi fino ad usurarle nella reiterata ripetizione della narrazione delle sue gesta, vien da pensare che sia meglio lasciarle riposare. D'altronde, nell'epoca del web a portata di mano, sono ormai facilmente ripercorribili e ricostruibili ed elencarle rischia di diventare per certi versi stucchevole.

Ciò nonostante, però, nessuno si stanca di parlare e di sentir parlare di quelle due stagioni, la 1980/1981 e la 1981/1982, vissute da Juary all'ombra del Partenio, prima del passaggio all'Inter: 34 presenze e 13 reti, quelle più belle e pesanti per firmare la salvezza nell'anno del terremoto, quando, proprio prima del sisma del 23 novembre 1980 realizzò una delle mercature con cui l'Avellino strapazzo l'Ascoli con il finale di 4-2 prima del dramma. Pianse con Avellino e per Avellino, Juary, come tutti i suoi compagni di squadra; come tutti i componenti di quella squadra si legò, in quel momento, per sempre alla maglia; alla gente che la ama e la sostiene. Più forti del terremoto, più forti della penalizzazione in classifica, più forti di tutto: lo spirito irpino, combattivo, mai arrendevole; caparbio e tenace fino ai limite della testardaggine, trasferito nel DNA di undici calciatori orgoglio di un'intera provincia.

E allora: uno, due, tre, giri attorno alla bandierina. Senza stare a rivangare il passato. In fondo, chi lo ha reso indimenticabile è sempre presente nei pensieri e nei cuori della gente; si è guadagnato un posto in pianta stabile nell'animo di un'intera comunità. Non c'è spazio per rimpiangere i bei tempi andati. Ora, adesso, dallo scoccare della mezzanotte, si celebra quel lontano 16 giugno del 1959 nel quale venne alla luce un talento cristallino del football; si danza, con Juary, in maniera sfrenata, come davanti agli occhi increduli dei campioni di Juventus, Inter, Roma, Milan dopo la rigida applicazione della "legge del Partenio".

È un giorno di festa come lo erano tutte le domeniche negli anni d'oro della Serie A. Che saudade, per dirla alla brasiliana. Ma al punto giusto. Sì, perché questo è un amarcord al ritmo di samba, con l'allegria tipicamente sudamericana con cui quel ragazzino, allora ventunenne, contagiò davvero tutti.

Auguri e obridago, Juary. Campione d'altri tempi; di un calcio che non c'è e forse non tornerà mai più.