Il figlio di Iermano, ucciso da Br: "Vogliamo verità"

In un'intervista dice: "Non ho mai perdonato gli assassini di mio padre"

Benevento.  

"Mio padre faceva il bidello, non era un autista. Quando Raffaele, eletto al consiglio regionale e nominato assessore, lo chiamò per farsi accompagnare a Napoli, lui accettò. A casa ci disse che qualora avesse fiutato situazioni strane sarebbe sempre potuto tornare al suo lavoro al centro di formazione professionale 'Mario Galanti' al viale Mellusi di Benevento. Di fatto, però, non abbandonò mai Raffaele".  Così all'AdnKronos Antonio Iermano, figlio di Aldo Iermano che 37 anni fa, il 27 aprile del 1982, morì insieme a Raffaele Delcogliano, politico della Dc, in un agguato delle Brigate Rosse. "Quando furono uccisi - racconta - io avevo 20 anni e mio fratello 18. Raffaele, invece, aveva una bambina di cinque mesi e un'altra che Marina, la moglie, portava in grembo e che non ha mai conosciuto il padre". 
"Non sapevamo che erano in pericolo, forse loro due sì. Papà si era armato perché pensava sempre che ci potesse essere un problema di criminalità organizzata legata ai gruppi dei disoccupati e alle tensioni di quegli anni. Alla fine abbiamo scoperto che l'omicidio si lega al rapimento di Ciro Cirillo, all'uccisione dell'agente di scorta e del suo autista. Siamo riusciti a capire che nell'uccisione ha contato anche la politica aiutata dalla camorra". Antonio non ha perdonato gli assassini di suo padre. "Perdonati no - spiega - perché non abbiamo mai avuto un contatto con loro. Solo con Adriana Faranda a Sant'Agata de' Goti. In quell'occasione le ho chiesto giustizia, di essere sincera su quel che diceva. Noi abbiamo bisogno di verità". Raffaele Delcogliano e Aldo Iermano si sono conosciuti da ragazzi su un campo da calcio: il primo era portiere, l'altro ala destra. Seppur con qualche anno di differenza divennero amici e nonostante successivamente fecero scelte e presero strade differenti la loro amicizia rimase forte tanto che Delcogliano pensò subito al suo amico quando gli servì un autista. E il suo amico non lo lasciò solo neppure davanti al pericolo. Una storia di stima e di affetto reciproco e un sacrificio che "la città ha dimenticato - ammette rammaricato Antonio - Non c'è molta memoria".