Omicidio Niro, confermata l'assoluzione di Domenico Felice

Sentenza in appello sul delitto del muratore molisano, avvenuto nel 2008

Benevento.  

Confermata dalla Corte di assise di appello di Napoli la sentenza con la quale il 2 marzo del 2011 la Corte di assise di Benevento aveva assolto, per non aver commesso il fatto, Domenico Felice, 40 anni, l'agricoltore di Santa Croce del Sannio che era stato accusato dell'omicidio di Lucio Niro, 30 anni, di Baranello, il muratore molisano ucciso con una fucilata nella sua Fiat Bravo, nella notte tra il 10 e l'11 febbraio del 2008, a Morcone.

La pronuncia dei giudici ha incrociato la richiesta avanzata sia dal procuratore generale sia dagli avvocati Claudio Fusco ed Antonio Di Maria, difensori dell'imputato.

A distanza di dieci anni, resta ancora senza un colpevole un delitto che all'epoca aveva fatto particolarmente rumore anche per le sue implicazioni.

Come più volte ricordato, il corpo senza vita del giovane era stato trovato all'alba dai familiari che, non avendolo visto rientrare, erano andati a cercarlo. La sua auto era finita contro un albero, inizialmente si era pensato ad un incidente stradale. Dall'autopsia era però emersa una tragica realtà, confermata dalle ferite alla parte sinistra del volto. Le indagini avevano permesso di stabilire che l'uomo aveva trascorso la serata in casa della fidanzata, nelle campagne al confine tra Santa Croce e Morcone. Verso mezzanotte era ripartito per far ritorno a casa, dove però non era arrivato.

I sospetti si erano concentrati su Domenico Felice, più volte ascoltato come persona informata sui fatti. L'ultima a metà febbraio 2008, quando aveva parlato dei rapporti di conoscenza con la fidanzata della vittima, che abita nella stessa zona, ripercorrendo ciò che aveva fatto la sera del 10 febbraio. Aggiungendo anche di aver dormito in macchina, ma non era una novità, per sorvegliare i mezzi agricoli custoditi in un capannone aperto.

Il giorno successivo i carabinieri, che avevano già sequestrato i suoi abiti ed un fucile da caccia, avevano effettuato un sopralluogo nell'abitazione, rinvenendo alcuni pallini che, secondo quanto sostenuto dall'agricoltore, erano i residui di un colpo sparato in precedenza nel garage per uccidere un topo. A fine febbraio, poi, Felice era stato convocato in Procura come indagato, ma si era avvalso della facoltà di non rispondere al pm Antonio Clemente. Le indagini erano state scandite anche da un incidente probatorio nel corso del quale erano state eseguite le perizie, tutte con risultati negativi, sugli indumenti dell'agricoltore, per rilevare la presenza di tracce di polvere da sparo, biologiche e di vetro.

A settembre 2010 il via al processo dinanzi alla Corte di Assise di Benevento, alla quale il pm Clemente aveva chiesto per l’imputato la condanna all’ergastolo. Attenzione puntata sull'esistenza degli «indizi gravi, precisi e concordanti», individuati attraverso le indagini dei carabinieri che, sebbene «partite male, hanno vagliato tutte le altre piste possibili, nessuna delle quali ha prodotto un minimo elemento».

Un'attività investigativa alla quale avrebbe potuto dare una svolta «l'intercettazione ambientale chiesta, ma negata dal gip», nell'abitazione di Rosanna Parlapiano, la fidanzata e promessa sposa della vittima, che dopo qualche mese dal delitto avrebbe dato alla luce una bimba riconosciuta come figlia del 30enne. E' su di lei, su Rosanna, sulle sue «reticenze, sul fatto che sa molto di più di quanto ha detto», che Clemente si era a lungo soffermato. Una donna della quale «era innamorato» l'imputato, descritto come «una persona prepotente che ripetutamente l'aveva minacciata, in modo esplicito e non, perchè voleva che lasciasse Niro, un uomo perbene». Un delitto, dunque, con un movente passionale e «non d'impeto: Niro era diventato un ostacolo alla sua voglia di stare con colei che amava».

A seguire gli interventi  dei legali di parte civile: Raffaele Tibaldi (per Rosanna Parlapiano) e Angelo Piunno (per i genitori ed un fratello del 30enne), che avevano concluso con la richiesta di dichiarazione di responsabilità. L'avvocato Tibaldi, in particolare, aveva ricordato quanto la sua assistita aveva dichiarato sui rapporti con l'imputato che conosce da sempre perchè abita nella stessa zona. «Lui aveva un interesse, non corrisposto, nei miei confronti», aveva detto Rosanna, che aveva poi riferito delle minacce ricevute e della richiesta che le aveva fatto Felice, e da lei rifiutata, di interrompere la gravidanza.

Infine,  le arringhe degli avvocati Claudio Fusco e Antonio Di Maria, che avevano chiesto l'assoluzione di Felice con formula piena per l'assenza di qualsiasi elemento a suo carico,  contestando duramente la ricostruzione operata dal pm Clemente e lo svolgimento delle indagini. Argomentazioni accolte dalla  Corte di Assise, che aveva assolto Domenico Felice per non aver commesso il fatto. Una sentenza ora ribadita anche in appello.

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