Scuole, ancora una chiusura indiscriminata

La riflessione dell'avvocato Gino De Pietro

scuole ancora una chiusura indiscriminata
Benevento.  

E' dedicata alla nuova chiusura delle scuole in Campania la riflessione dell'avvocato Gino De Pietro

"E’ arrivato di venerdì pomeriggio l’ennesimo provvedimento di chiusura delle scuole di ogni ordine e grado del presidente della regione Campania, che vanta il non invidiabile primato mondiale in tema di giorni di scuola perduti.

Il tutto è avvenuto, almeno per il momento, senza reazioni dei rappresentanti – o “portavoce” - locali, sia di livello nazionale che regionale o locale.

Altrove in zona rossa almeno alcuni ordini di scuole restano comunque aperti, da noi in zona arancione si chiude tutto. La Campania non è più una regione dell’Italia, ma qualcos’altro: un luogo extra ordinem, dove tutto è sovvertito e dove non valgono più le regole generali, un posto indefinibile dove i diritti dei cittadini sono degradati dai dictat di un individuo che nega ogni valore alle leggi che valgono per tutti gli altri cittadini italiani.

Inoltre, i dati all’interno della regione, come ho già ricordato da queste colonne, sono molto differenti e la situazione di Benevento è estremamente diversa da quella di Napoli e di Salerno, patria del presidente regionale.

Se ve ne erano le condizioni, allora andavano chiuse le scuole, e forse non solo le scuole, di Salerno e di zone del napoletano, ma non andava adottata un’ulteriore chiusura indiscriminata di tutte le scuole assolutamente non fondata sui parametri condivisi a livello nazionale. La Campania non è un feudo, un contado, dove il feudatario di turno possa privare i sudditi di ogni diritto, ma fa parte di uno stato unitario in cui il diritto allo studio è garantito costituzionalmente e a pari condizioni con gli altri allievi lombardi, veneti, laziali, siciliani, liguri…

Questo provvedimento non solo non risponde ai dati epidemiologici concreti, ma viola il principio di uguaglianza dei ragazzi campani davanti al diritto allo studio. Nello stesso tempo, stabilendo di volta in volta nuovi “criteri” per chiudere le scuole, costituisce anche una patente violazione del principio di divisione dei poteri, alla base di ogni stato moderno, in quando lo stesso soggetto crea la “regola” – ad hoc – e immediatamente la mette in esecuzione, senza prendere in considerazione tutti gli altri diritti costituzionali in gioco che non sono da lui degradabili.

Tutto ciò accade mentre il Governo, nonostante le differenti affermazioni fatte dal Presidente del Consiglio Draghi nel discorso per la fiducia al Senato, non ha ancora assunto alcuna iniziativa né preso alcuna concreta posizione sul recupero dei giorni di scuola in presenza perduti, né ha avviato alcuna inchiesta per conoscere, al di là delle formali rassicurazioni degli interessati, il livello di funzionamento e di successo della didattica a distanza (dad).

Gli esperti non hanno mancato di sottolineare i difetti della dad sia in termini di partecipazione, sia in termini di efficienza educativa, sia in termini di socializzazione; si spera che in un prossimo futuro il ministro trovi il tempo di occuparsene, dopo aver molto dichiarato quando non era ancora un membro del governo.

Nel frattempo c’è un dato che, dal mio modesto punto di vista, è allarmante e sconvolgente: i ragazzi, che sono i protagonisti della scuola, sono completamente assenti dal dibattito. Questa è la generazione di giovani e di studenti meno rilevante quantomeno dai tempi del dopoguerra. Mai prima d’oggi la loro opinione, i loro disagi, le loro richieste, le loro ansie, le loro aspirazioni sono stati più ignorati e meno esplorati.

Li si cerca solo quando possono essere utili ai disegni dei “grandi”, come col “movimento” delle sardine, di cui si è persa traccia. “Electo Bonaccino, sardae omnes mortae sunt". ” si potrebbe dire in pessimo latino.

Crescono i suicidi tra i giovanissimi, aumentano gli episodi di violenza, crescono gli abbandoni scolastici, i risultati peggiorano, i ragazzi rischiano di perdere addirittura la capacità di socializzare e ai media, occupati ad intervistare sempre gli stessi soggetti, non interessa conoscere le opinioni, il malessere, le domande di un’intera generazione, la famosa next generation EU cui, in teoria, sarebbe destinato il recovery plan.

Mai, nella storia recente, c’è stata una maggiore distanza tra le intenzioni manifestate e i comportamenti concretamente adottati dalle classi dirigenti politiche, istituzionali e culturali. La parola ipocrisia è minusvalente rispetto a tale fenomeno e non lo rappresenta. Questa volta si tratta di un vero e proprio scollamento sociale.

L’Italia, ohimè, rischia davvero di diventare un paese refrattario ai giovani!".