Aveva pagato gran parte della somma per l'acquisto dell'abito per la donna che il figlio avrebbe voluto sposare. Il matrimonio era però saltato: una circostanza che le è costata non solo il mancato rimborso dei soldi già spesi, ma anche 5mila euro in più da versare alla Cassa delle ammende. Perchè la Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso.
La vicenda
Lei è una mancata suocera, la storia inizia nel 2016 quando la promessa sposa sottoscrive con una società un contratto per comprare un abito nuziale al prezzo di 3800 euro, versando un acconto di 100 euro. Avrebbe dovuto indossarlo nell'estate 2018, nel giorno, indicato nell'atto, in cui erano state fissate le nozze. Torniamo al 2017, ad aprile,perchè è allora che, nella qualità di futura suocera, la signora sigla con la stessa società una scrittura privata con la quale si impegna a versare il prezzo pattuito per l’abito. Sborsa subito 2800 euro, il resto andrà versato alcuni giorni prima della cerimonia.
Come spesso capita, la relazione naufraga ed il matrimonio viene annullato. Lei vuole la restituzione dei soldi, cita la società ed il giudice di pace di Ariano Irpino ne accoglie in toto la domanda. Con una decisione che il Tribunale ribalta però completamente, qualificando la scrittura dell'aprile 2017 come “promessa di pagamento”, escludendo la legittimazione della mancata suocera ad opporre eccezioni relative al contratto di vendita dell’abito, non essendo essa parte contrattuale e non avendo l'allora fidanzata del figlio mai richiesto la risoluzione. Da qui il ricorso, respinto, in Cassazione, e la condanna al pagamento di 5mila euro in favore della Casa delle ammende.
