Gero Grassi e il vero nome dell'assassino di Moro

Il memoriale di Moretti falso scritto dal vice direttore del Popolo. La garconniere di Marcinkus

Benevento.  

 

di Federico Festa

“Per quarant'anni abbiamo pensato che tutto fosse stato fatto dalle Brigate Rosse, poi, attraverso la Commissione, abbiamo capito che ci era stata propinata una verità dicibile, ovvero la verità che agli italiani andava comoda, ovvero che le Brigate rosse hanno fatto tutto loro. In realtà, non è così. Il rapimento Moro non inizia con il 16 marzo ma inizia con il Piano Solo, in via Fani non ci sono solo uomini della Brigate rosse ma anche elementi della ndrangheta, della banda della magliana, dei servizi segreti italiani e stranieri”.

La ricostruzione di pezzi importanti degli ultimi giorni di vita di Aldo Moro, frutto del lavoro dell'ennesima commissione parlamentare istituita per fare luce sul suo sequestro e sul suo omicidio, fornisce un quadro agghiacciate delle forze che condizionavano la democrazia negli anni '70.

A parlare, nell'ambito di un dibattito promosso dall'Università del Sannio, è Gero Grassi, membro della Commissione Parlamentare d'inchiesta, su “Le novità relative al Caso Moro”. Con lui si sono proposti agli studenti Luigi Razzano, presidente Demonline su “Il discorso di Aldo Moro a Benevento sulla stampa dell’epoca” e Marco Almagisti, docente di Scienza politica all’Università di Padova.

Gero Grassi, autore del libro “La verità negata”, testo che si basa proprio sui risultati ottenuti dalla Commissione d'inchiesta, torna a quella “notte della Repubblica” che deve ancora essere scritta in ogni suo dettaglio ma tenta di fornire un quadro d'insieme delle realtà in campo in quegli anni. A partire dagli autori dell'omicidio, che non erano brigatisti.

“Aldo Moro non è stato in via Montalcini”, spiega Grassi, “non sappiamo ancora dove sia stata la prigione ma sappiamo che la descrizione dei brigatisti sulla morte di Moro non corrisponde alla morte di Moro. Probabilmente, la descrizione di Maccari e Moretti è una descrizione fatta a tavolino, perché semplicemente loro non c'erano. Chi ha ucciso Moro, probabilmente, è Giustino De Vuono, ndranghetista calabrese”.

Gero Grassi fornisce dettagli e visioni, cercando di collegare fatti e circostanze collocandole in quel periodo storico: “E' successo che pezzi dello Stato hanno costruito la verità dicibile. Chi sono questi pezzi dello Stato? Francesco Cossiga, poi diventato presidente della Repubblica, Remigio Cavedon, vide direttore de Il Popolo, che è quello che ha scritto il memoriale Morucci-Faranda, Ugo Pecchioli, responsabile interni del Partito Comunista, con la partecipazione di Ferdinando Imposimato, magistrato autorevole e mio amico, e i servizi segreti. Tutto questo apparato ha partorito il memoriale Morucci-Faranda, base sulla quale si sono costruiti i processi sulle brigate rosse e la verità dicibile”.

Ma, nonostante questo, che dietro il rapimento ci fosse un piano preordinato è smentito da Grassi: “Noi non possiamo dire che delle persone si sono sedute a tavolino ed hanno organizzato tutto. Possiamo dire certamente che Moro viene rapito per due motivi: uno di politica internazionale, perché vuole superare gli accordi di Yalta e vuole costruire l'Europa dei popoli, e l'altro di politica interna, perché vuole realizzare la democrazia compiuta, spostando i comunisti da Mosca in Europa e creando in Italia l'alternativa. D'altra parte siamo qui a Benevento dove nel novembre del '77 Moro ha parlato per la prima volta di quello che dopo sarà definito il compromesso storico. Sul rapimento di Moro”, dice Gero Grassi, “c'è l'ombra del Piano Solo, generale Giovanni De Lorenzo, capo di stato maggiore dei carabinieri e due problemi che vengono sottovalutati: la obbligatorietà della scuola e la nazionalizzazione dell'energia elettrica che inducono la destra degli anni '60, non configurabile come un partito ma come un'area vasta, a ritenere Moro un pericoloso sovversivo.

A Benevento Moro tenta il dialogo con Berlinguer, che in quel periodo stava tentando di portare il partito comunista fuori dai condizionamenti del grande fratello dell'Unione sovietica come punto di riferimento totale. La volontà di Moro era quella di realizzare le condizioni per l'alternanza. Moro non voleva fare un piacere ai comunisti voleva fare un piacere all'Italia che in quegli anni aveva un sistema bloccato e questo danneggiava sia la democrazia italiana sia la democrazia cristiana. Berlinguer non lo capì e nei 55 giorni del rapimento non lesse tutte le forze che si erano mosse e Moro dalla prigione lo rimproverò, spiegandogli che nel futuro l'avrebbe pagata con il prezzo dell'isolamento, cosa puntualmente accaduta”.

Infine, il lungo elenco di incredibili certezze che cancellano tutto quello che la magistratura ha messo insieme in cinque processi: “Sappiamo che non c'erano soltanto le Br. Sappiamo che Moro non è stato ucciso a via Montalcini, sappiamo che chi ha descritto l'omicidio Moro non ha sparato, sappiamo anche le omissioni di giornali, magistratura, parlamento, governo, chiesa. Ma non possiamo parlare di entità singole. La Chiesa di Marcinkus partecipa all'omicidio di Moro, la chiesta di Paolo Sesto tenta di liberarlo raccogliendo 10 miliardi per il riscatto. Noi oggi sappiamo anche qual era la banca dove sono stati prelevati quei soldi, a Tel Aviv, donati dagli ebrei che il Papa aveva salvato a Milano. Non sappiamo la prigione”, conclude Gero Grassi, “ma sappiamo che Moro è passato da via Massimi 91, palazzina all'epoca extraterritoriale, gestita da Marcinkus. Noi abbiamo due persone, marito e moglie che si sono dichiarate e hanno detto che loro hanno dato rifugio a Prospero Gallinari, Petra Kram, terrorista della Raf, Piperno che va a fare qualche cosa, Morucci e Faranda che vanno a dare un'occhiata e sempre nella palazzina dello Ior c'è la garconniere di Marcinkus, ripeto la garconniere. Tutto questo dovrebbe dire qualcosa, perché il capo della banda della magliana Renatino De Pedis viene seppellito nella Basilica pontificia di Santa Apollinare dove avviene uno scambio tra una morta ed un morto... Non si tratta di un complotto ma sicuramente che ci sono realtà diverse e persone diverse che hanno l'utilità che Moro muoia. Quello di Moro non è un delitto di Stato, come si dice, ma un delitto di abbandono, come lo ha definito il rettore dell'università di Urbino Carlo Bo.

 

Ecco tutti i processi Moro in una ricostruzione dell'agenzia Ansa.

 

MORO-UNO E MORO-BIS - Il 24 gennaio 1983 i giudici della 1/a Corte d'Assise (presidente Severino Santiapichi) emettono la sentenza del processo per la strage di via Fani e il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. Il processo unifica i procedimenti Moro-uno e Moro-bis. La sentenza condanna all' ergastolo 32 persone: Renato Arreni, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Anna Laura Braghetti, Giulio Cacciotti, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Natalia Ligas, Alvaro Loiacono, Mario Moretti, Rocco Micaletto, Luca Nicolotti, Mara Nanni, Cristoforo Piancone, Alessandro Padula, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Nadia Ponti, Salvatore Ricciardi, Bruno Seghetti, Pietro Vanzi, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 marzo 1985 la Corte d' Assise d'appello conferma 22 condanne all' ergastolo. Ridotta la pena per Natalia Ligas, Mara Nanni, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 novembre 1985 la Cassazione conferma quasi intergralmente la sentenza, tranne per le posizioni di 17 imputati minori per i quali si chiede la rideterminazione della pena.

MORO-TER - Il 12 ottobre 1988: si conclude con 153 condanne (26 ergastoli e 1.800 anni complessivi di detenzione) e 20 assoluzioni il processo denominato «Moro-ter», riguardante le azioni delle Br a Roma tra il 1977 e il 1982. La 2/a Corte d'Assise (presidente Sergio Sorichilli condanna all'ergastolo Susanna Berardi, Barbara Balzerani, Vittorio Antonini, Roberta Cappelli, Marcello Capuano, Renato Di Sabbato, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Cecilia Massara, Paola Maturi, Franco Messina, Luigi Novelli, Sandra Padula, Remo Pancelli, Stefano Petrella, Nadia Ponti, Giovanni Senzani, Paolo Sivieri, Pietro Vanzi, Enrico Villimburgo, i latitanti Rita Algranati e Alessio Casimirri e gli imputati in libertà per decorrenza dei termini di detenzione Eugenio Pio Ghignoni, Carlo Giommi, Alessandro Pera e Marina Petrella. Il 6 marzo 1992 la terza Corte d' Assise d' appello conferma la condanna all' ergastolo per 20 imputati del processo 'Moro-ter'. Pena ridotta per Alessandro Pera, Eugenio Ghignoni, Paola Maturi e Franco Messina e ad altri due imputati. Il 10 maggio 1993 una sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Arnaldo Valente) conferma le condanne emesse in appello per gli imputati del Moro-ter. Annullata, con rinvio ad altra sezione penale della corte d' appello di Roma, solo la sentenza nei riguardi di Eugenio Ghignoni, condannato in appello a 15 anni.

MORO-QUATER - Il 1° dicembre 1994 il processo «Moro-quater», che si occupa di alcuni risvolti del caso non risolti dai processi precedenti e di alcuni episodi stralciati dal Moro-ter, si conclude con una sentenza della prima Corte di Assise (presidente Severino Santiapichi) che condanna all' ergastolo Alvaro Loiacono, in carcere in Svizzera per altre vicende, riconosciuto colpevole di concorso nel rapimento e nell' uccisione dell' ex presidente della Dc Aldo Moro e di altri omicidi. Il 3 giugno 1996 la sentenza è confermata dai giudici della Corte di Assise di appello di Roma e, il 14 maggio 1997, dalla Cassazione.

MORO-QUINQUIES - Il 16 luglio 1996 i giudici della seconda Corte d'Assise emettono la sentenza del processo Moro-quinquies e condannano all' ergastolo Germano Maccari per concorso nel sequestro e nell' omicidio di Aldo Moro e nell'eccidio della scorta e Raimondo Etro a 24 anni e sei mesi. Il 19 giugno 1997, in appello, la pena per Maccari è ridotta a 30 anni. La Cassazione disporrà un nuovo processo e il 28 ottobre 1998 la nuova sentenza d'appello condanna Maccari a 26 anni ed Etro a 20 anni e 6 mesi. La condanna per Etro diventa definitiva nel 1999, mentre Maccari sarà di nuovo processato in appello e la sua pena ridotta a 23 anni.