"Gli effetti del Covid sulla real economy paiono dirompenti"

L'intervista ad Antonio Maiella, sannita, consulente del lavoro che opera anche a Milano

gli effetti del covid sulla real economy paiono dirompenti
Benevento.  

Con il giuslavorista Antonio Maiella, sannita, che ormai da tempo opera a Milano come consulente del lavoro e delle relazioni sindacali di aziende italiane ed estere analizziamo la situazione economica e sociale del mondo del lavoro.
Oltre 50 giorni. Tanti ne sono passati da quando un'epidemia, inizialmente considerata poco più di un'influenza, si è invece trasformata in pandemia e nel nostro paese ha mietuto migliaia e migliaia di vittime. “Il mondo è cambiato, ma questa è un'altra storia. La realtà, imminente, è un'altra”, ci spiega al telefono Maiella che nella prima fase dell'emergenza sanitaria ha lavorato, con una équipe multidisciplinare, alle modifiche del Documento di Valutazione Rischi per le aziende, adeguando gli allegati alle norme per la gestione del rischio biologico associato all’infezione da SARS – CoV – 2 (COVID-19).

Quando ha avuto il sentore che il lavoro in Italia non sarebbe stato più lo stesso?
"Ho capito che sarebbe arrivata la buriana l’8 marzo 2020, giorno del mio compleanno. Quella domenica l’intera Lombardia è diventata zona arancione, prima di allora nessuno di noi poteva immaginare di trovarsi nel cuore di una tempesta ‘virale’ di tale portata. Di lì a poco, la categoria dei Consulenti del Lavoro è stata chiamata a mettere in Cassa Integrazione tutto lo ‘Stivale’".

Nelle grandi aziende e nelle piccole imprese cosa è cambiato nella pratica?
"Le offro lumi affinché lei possa comprendere appieno la forza del ‘sisma’ che ha scosso il mercato del lavoro e la relativa ricaduta in termini di Prodotto Interno Lordo. E’ stato stimato che senza l’attività professionale dei CdL, oltre 10 milioni di lavoratori subordinati e autonomi italiani sarebbero rimasti senza assistenza.
Inoltre, un autorevole studio pubblicato dalla Fondazione Studi dell’Ordine evidenzia che per 3,7 milioni di lavoratori, la sospensione delle attività ha significato il venir meno dell'unica fonte di reddito familiare. Secondo la ricerca, ad essere più colpite sono le coppie con figli (1.377mila, pari al 37%) e i genitori “soli” (439mila, pari al 12%) con il rischio di non riuscire a fronteggiare le spese quotidiane. Un dato preoccupante se si considera che ben il 47,7% dei lavoratori dipendenti dei settori ‘che hanno chiuso’ guadagnava meno di 1.250 euro mensili e il 24,2% si trova addirittura sotto la soglia dei mille euro’. Mi consenta di leggerle un altro interessante dato tratto dall’ illuminante relazione".

Prego, continui pure
"I dati forniti dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro evidenziano, poi, che i provvedimenti adottati a tutela della salute pubblica abbiano finito per esporre a maggiore rischio di ritrovarsi “senza reddito” proprio i lavoratori meno qualificati e a più basso reddito, che avrebbero invece avuto bisogno di maggiori tutele. La chiusura dei comparti manifatturieri disposti dal blocco delle attività produttive ha penalizzato tanta parte di lavoro artigiano e operaio. La serrata del commercio, in aggiunta, ha interessato soprattutto commercianti e addetti alle vendite. Insomma, la base occupazionale che più è stata toccata dalle sospensioni è stata proprio quella a più basso reddito e qualificazione (si consideri che secondo l'ultimo dossier Istat sulla povertà, nel 2018 il 12,3% delle famiglie con capofamiglia operaio era in condizione di povertà assoluta, contro una media delle famiglie italiane del 7%). Di contro, chi ha potuto contare sulla continuità lavorativa tramite smart working (solo il 17,2% dei dipendenti) sono stati soprattutto i lavoratori della conoscenza, impiegati e quadri di aziende pubbliche e private, professioni a più alta qualificazione, che vantano titoli di studio e redditi più elevati. E’ infine utile sottolineare che, alla luce delle chiusure imposte per decreto e da quelle determinate dalla mancanza di domanda, il crollo del settore turistico a Roma e nei territori della provincia fa sentire i suoi effetti su 150mila lavoratori".

Come può un Paese burocratizzato come il nostro rivoluzionare il tutto all'insegna della ripresa economica?
"Gli effetti del Covid-19 sulla real economy paiono dirompenti: il lockdown ha spento, contemporaneamente, domanda e offerta. Le aziende vivono una situazione kafkiana, perché il diktat imposto alle attività produttive ha sconquassato le già fragili dinamiche macroeconomiche che regolano gli indicatori di sostenibilità di benessere all’interno dei confini nazionali. Va definita una strategia di ripristino delle attività, nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza.  Dobbiamo agire su due binari paralleli: lotta senza quartiere al virus e ferreo contrasto alla recessione. Si inizi a liberare l’offerta, immettendo altra liquidità sui mercati. Il danaro fresco, oggi, è fondamentale per allineare nuovamente le curve di domanda e offerta.  In pratica, si deve rispolverare l’economia di guerra di Keynes per superare la crisi, ma tale dispendioso (e salvifico) modello va condiviso, supportato e governato da una cabina di regia europea. I singoli governi nazionali, soli, potrebbero non reggere allo stress finanziario che tale operazione potrebbe generare”.    

Nord, Sud: aumenterà il divario?
"Al Sud si ha la maggiore concentrazione di disagio con una incidenza, tra i lavoratori dipendenti temporaneamente senza lavoro, dei monoreddito, pari al 49,6% contro il 35,2% dei residenti del Centro e il 34,3% del Nord Italia. Riaffermo oggi, con più rabbia di ieri, una mia dichiarazione dello scorso novembre, rilasciata proprio ai microfoni delle testate di Ottopagine: per il Mezzogiorno servirebbe un «nuovo corso». Un piano di riforme economiche e sociali promosso dal Governo Nazionale, di concerto con gli Enti Territoriali, per risollevare le aree economicamente depresse del Paese. Le aree interne necessitano di ingenti investimenti nel comparto delle infrastrutture e delle tecnologie. Dobbiamo connettere il Sud alle aree più industrializzate, saldarlo agli snodi strategici delle merci e facilitare quindi il trasporto di persone e beni. Servirebbe, poi, pensare ad un piano di abbattimento del costo del lavoro per gli imprenditori virtuosi che decidono di spostare i propri insediamenti produttivi nelle aree depresse del Sud dell’Italia, al fine di ridurre ai minimi termini le rinunce imprenditoriali di investitori italiani ed esteri".