La lotta di Maria nel nome di Artur, contro la violenza

A un anno dal ferimento del 17enne da parte di una babygang

Napoli.  

(c.m.) -  È passato un anno esatto dal tragico pomeriggio nel quale Arturo, un liceale diciassettenne, venne accoltellato e ridotto in fin di vita da una baby gang nella centralissima e congestionata via Foria. Quel pomeriggio, la vita di Arturo è cambiata per sempre e la madre, Maria Luisa Iavarone, con forza e senza perdersi mai d’animo, si è lanciata in una battaglia che non si è limitata a salvare il figlio, ma che ha voluto dare spazio ad un impegno sociale e civile per una città che rischia di abituarsi alla violenza e che troppo spesso ha voltato lo sguardo altrove per non guardare.

In quest’anno la mamma di Arturo è diventata un simbolo, ha parlato ovunque, non si è tirata indietro e ha costretto la città a guardarsi dentro ad analizzarsi e a fare i conti con una storia di ordinaria follia, che vede un ragazzo diventare vittima della furia cieca di altri ragazzini, a loro volte vittime di una società nella quale le diseguaglianze esplodono e le difese sociali sono indebolite dall’abbandono di interi quartieri.

Ad un anno, Maria Luisa Iavarone ha deciso di trasformare questa giornata non in mero ricordo di dolore ma in una giornata di “rinascita e di opportunità” convita “di dover restituire in termini di gratitudine il miracolo che mi è stato concesso”.

Per questo, nella stupenda Villa Doria D’Angri di via Petrarca, in uno dei palazzi più suggestivi dell’Università Parthenope di Napoli, si è tenuta l’inaugurazione della sede dell’Associazione Artur, Adulti responsabili per un territorio unito contro il rischio, che nasce con l’obiettivo di creare nuovi format educativi, per dare una guida ai giovani a rischio e per impedire che si ripetano episodi come quello di cui è stato vittima Arturo.

La sala è gremita, c’è il vero civismo napoletano, quello che non si tira indietro e che interviene davvero nella realtà sociale in cui opera, quello che non esclude la politica e in prima fila infatti si vedono Antonio Bassolino e Alessandra Clemente.

Ad aprire la giornata, è la stessa presidentessa Maria Luisa Iavarone e tra gli oratori al tavolo spicca Arturo. Porta con fiera disinvoltura una cicatrice sul collo che fa a cazzotti con la faccia e i modi da bravo ragazzo. Intervengono in molti, dal mondo dello sport al mondo della scuola e dell’educazione, dal docente in pensione, da sempre impegnato nella scuola e nelle battaglie civili con la Cgil, Paolo Giugliano, all’assessore ai giovani, Alessandra Clemente, fino al rettore dell’Università Parthenope, Alberto Carotenuto.

In quella sala, più che la Napoli civica c’è quella civile, quella vera, quella che vuole combattere le diseguaglianze e le solitudini per ridare opportunità e valori ad una città che rischia di rimanere ostaggio della violenza.

Ad un anno da quella tragedia, i colpevoli sono stati condannati ma la sensazione è che in queste storie fatte di violenza ed esclusione sociale ci siano solo vittime. I carnefici sono la mancanza di opportunità e la mancanza di attenzione da parte una società “civile” che ha dimenticato di svolgere il suo ruolo, che ha scelto in maniera incivile e vigliacca di voltarsi sempre da un’altra parte e di rimanere inerme ed in silenzio.

Grazie a al coraggio Maria Luisa Iavarone e alla forza di suo figlio Arturo, oggi Napoli ha ricominciato a guardarsi dentro e a ricominciato a farlo con la voglia civile che rompe i silenzi, che vince le paure e che supera le futili divisioni di parte.