"Figlia mia, sopravvivo solo per darti giustizia"

Un docufilm su Tiziana Cantone. La madre: si può uccidere con un click. Basta gogna e orrore

Napoli.  

Morire di vergogna. Togliersi la vita per essere finita nel tritacarne del web, dei social, di quel tragico tam tam dei cosiddetti leoni da tastiera. Questa è la storia di Tiziana Cantone, bellissima e sfortunata ragazza del napoletano. Questa è la storia della giovane suicida per essere stata messa alla gogna da milioni di persone che diventerà un docufilm Netflix. Quel suo video privato, intimo, diventò virale all’inverosimile. Iniziò il suo calvario additata da chiunque, offesa, riconosciuta da chiunque Tiziana è stata divorata dal suo personale dolore.

Ora un docufilm racconterà tutto questo perché, come spiega Maria Teresa Giglio, “questo scempio non accada mai più a nessuno”.

Intanto le telecamere di Netflix stanno già documentando il processo e per ora non è prevista una ipotetica data di messa in onda.  Il processo avrà inizio il 12 febbraio con l'escussione dei primi quattro testimoni, due familiari di Tiziana Cantone e due carabinieri. Le telecamere di Netflix saranno presenti anche in quell'occasione. I tempi di produzione, data la necessità di seguire il processo, sono indefinibili. La storia di Tiziana Cantone ha inizio nell'aprile 2015, quando quel video inizia a circolare in rete. Dai servizi di messaggistica istantanea fino ai social network.

E’ l’inizio della fine. La sua vita da allora prese una direttrice che lei non scelse. Bella da mozzare il fiato Tiziana diventa icona di desiderio e bersaglio di offese. Per strada la riconoscono tutti. Aveva chiesto il "diritto all'oblio", ma quel video ormai di dominio pubblico, si era nel frattempo fatto tormentone. Suonava come un ritornello quella frase pronunciata dalla ragazza in quel video, intonata come uno sfottò da chunque. La madre racconta che Tiziana "era disperata" per l'esito del reclamo presentato per la rimozione dei filmati diffusi in Rete.

Signora Giglio, lei è diventata il simbolo della lotta alla violenza sui social…

Con un click si può fare del male, si può uccidere. Il virtuale oggi, per i ragazzi, è come il reale. Per questo noi dobbiamo fare attenzione alle parole che usiamo, il linguaggio che utilizziamo. Tutti devono capire che commentare sui social significa condividere pensieri che non si può sapere che impatto abbiano sul prossimo.

Signora, il docufilm potrà servire?

Me lo auguro. Lo spero. Mia figlia è morta per la superficialità e cattiveria degli altri. Vorrei che quanto accaduto, almeno, serva da monito. Servono, subito, leggi nuove, efficaci e concrete. Viviamo una realtà in cui non è possibile il diritto all’oblio. I tempi di realizzazione di richieste di rimozione e cancellazione dai colossi del web sono lunghissimi, impossibili. Tanti colpevoli restano, nei fatti, impuniti.

Lei ha fatto anche appello al ministro Bonafede…

Mi appello al suo senso di giustizia, spero capisca la straordinaria necessità di avere nuovi mezzi di difesa e tutela. Questo scempio deve finire. Chi offende deve capire che si innesca un meccanismo incontrollabile e irreversibile. Ora mi aspetto risposte concrete dal Governo. Voglio concludere questa intervista con una frase del giudice Piero Calamandrei:

“Il giudice è il diritto fatto uomo. Solo da questo uomo io posso attendermi quella tutela che la legge, in astratto, mi promette. E solo se quest’uomo saprà pronunciare in mio favore la parola della Giustizia, potrò accorgermi che il diritto non è un ombra vana”.

A chi si rivolge?

Mi appello al cuore dei giudici, di tutti perché i tanti colpevoli della morte di mia figlia paghino. Chiedo rispetto e giustizia per il mio dolore, per la mia Tiziana.