Emanuele ucciso come un boss, la madre: Ora giustizia, devono marcire in galera"

Dopo l'arresto dei presunti killer di Durante parla la madre

"Lo avevano chiamato, disse che non aveva visto niente, sapevano che non era stato lui a sparare a Tufano, perché me lo hanno ucciso?"

Napoli.  

“Non voglio vendetta, voglio giustizia”. Davanti all’edicola votiva dedicata ad Emanuele Durante, in piazzetta Sedil Capuano a Forcella, la madre del ventenne ucciso in via Santa Teresa degli Scalzi il 15 marzo scorso, Valeria Brancaccio, non si da pace.

Ieri il blitz congiunto di carabinieri e polizia che ha portato all’arresto dei presunti assassini di suo figlio, il 20 enne “condannato” dal tribunale della camorra a pagare per la morte di Emanauele Tufano, ucciso dal “fuoco amico” nel corso di una "stesa" al rione Mercato il 24 ottobre scorso. Tufano fu raggiunto per errore dagli spari esplosi da un ragazzo del suo stesso gruppo, a sua volta legato al clan Pellecchia-Sequino della Sanità.

Emanele Durante, che secondo i magistrati faceva parte del gruppo di ragazzini che dalla Sanità calarono armati a Corso Mmberto per un'azione dimostrativa, cinque mesi dopo, diventò il “capro espiatorio” di quel delitto.

Il 15enne Emanuele Tufano era nipote di una delle figure di vertice del clan del rione Sanità. Quella morte non poteva restare impunita, altrimenti perdevano di credibilità sul loro territorio. Venne fatta un'indagine interna al clan, ma nessuno parlava. Alla fine venne scelto Emanuele Durante. Perchè? “Perché il 20enne era l'anello debole, il più lontano dalla catena di comando, quello che si poteva sacrificare” hanno spiegato i magistrati.

Signora Brancaccio, cosa ha provato quando ha sentito dire che Emanuele era un “capro espiatorio”?

“Loro lo sanno che mio figlio non apparteneva a nessun clan, per loro non valeva niente, era carne da macello, si poteva sacrificare? Per cosa? Per dimostrare che sei il più forte, che sei tu che comandi? A che è servito? Emanuele meritava funerali come gli altri, e ora merita giustizia – dichiara Valeria ai microfoni di Ottochannel Canale 16 - Io nella giustizia ci credo. Voglio ringraziare la Dda, perché dopo due mesi di agonia li ha presi e io ho potuto vedere il volto degli assassini di mio figlio. Ora spero in una sentenza esemplare: fine pena mai”.

Si è detto che Emanuele le avrebbe mandato un messaggio in cui diceva “Mamma morirò presto”. Aveva qualche presentimento? Sentiva di essere in pericolo?

“No – spiega la madre – quello è un modo di dire che usiamo spesso qui a Napoli, lui era preoccupato per la sua salute, aveva avuto un intervento di by pass gastrico per dimagrire, ed era diventato troppo magro. Quel messaggio è di dicembre. Non sentiva di essere minacciato, altrimenti mica se ne andava libero in giro come se niente fosse? E io se avessi avuto qualche dubbio, se avessi saputo che volevano uccidere mio figlio, secondo voi non gli avrei detto “scappa, vattene da Napoli”? Mi sarei fatta avanti io al suo posto se fosse stato necessario, avrei detto uccidete me se vi serve un capro espiatorio, ma fate vivere mio figlio”

Ma poi in un altro messaggio scrive: “E' successo un bordello” a cosa si riferiva?

“Quella volta si riferiva al fatto che era uscito e non aveva trovato il motorino”

Ma Emanuele le aveva mai raccontato qualcosa dopo il delitto di Tufano? Lo aveva visto preoccupato?

“No, qualche giorno dopo la morte di Tufano ne parlavamo come di una tragedia, un ragazzo di 15 anni... Emanuele andò pure ai suoi funerali. Si conoscevano, qualche volta si erano presi una granita insieme, ma da quanto ne so non si frequentavano”

Eppure secondo i magistrati Emanuele faceva parte di quel gruppo del rione Sanità.

“Voglio chiarire che mio figlio frequentava tante persone, del rione sanità, di Forcella. Lui se la faceva con tutti, non per questo devi appartenere per forza a un clan. Lui frequentava il rione Sanità perché lì vive il padre. Noi siamo separati da anni. Me lo sono cresciuto con tanta cura e attenzione, tenendolo lontano dalla strada il più possibile, finché è rimasto con me andava tutto bene. Poi si è fatto grande e ha iniziato a stare più spesso dal padre. Quando era più piccolo veniva spesso bullizzato. Non è stato mai accettato veramente”.

Però il giorno della sparatoria a rione Mercato lui c'era.

“Si, ma non so se era lì per caso. Dopo un po' di tempo mi disse che lo avevano chiamato (la famiglia Pellecchia della Sanità ndr) e che gli avevano chiesto se avesse visto qualcosa”.

E lui cosa rispose?

“Disse che non aveva visto niente. Ma guardate, è normale. Anche io, se in questo momento ci fosse una sparatoria davanti ai miei occhi direi che non ho visto niente. Funziona così qui a Napoli, non puoi mettere a rischio la tua vita. Se lo chiamarono e lo interrogarono. Poi non seppe più nulla. Stava tranquillo, ripeto, se avesse temuto per la propria vita non se ne sarebbe andato in giro. Loro sapevano che non era stato lui a sparare a Tufano, perché me lo hanno ucciso? Emanuele usciva tranquillamente sempre con la sua fidanzata, stava spesso con lei, anche il giorno che è morto, stavano insieme in macchina quando gli hanno sparato. E anche lei ha detto di non aver visto niente...”

Per l’agguato premeditato a Durante sono indagati Alexandr Babalyan, 25 anni, origini russe, e Salvatore Pellecchia, 29, cugino di Tufano, esponente del clan Sequino, scarcerato il 22 gennaio, ritenuto il mandante dell’omicidio. C'è un video delle telecamere della zona che riprende l'omicidio di Emanuele. Lei lo ha visto?

“Si, ed è stato uno strazio rivedere la morte di mio figlio, quei motorini che si avvicinano alla smart nera, lo sparo... Mi hanno detto che quel povero figlio mio si era fatto la pipì addosso, che aveva gli occhi all'indietro... per me è un dolore troppo grande. Però li hanno presi. Ora la giustizia deve fare il suo corso. Si tratta di omicidio. Per me devono restare in galera per sempre. Almeno questo”.

Dopo l'omicidio di suo figlio ci sarebbero stati anche dei festeggiamenti, il presunto killer ha festeggiato il matrimonio, sono stati sparati fuochi d'artificio...

“Si ho saputo. Loro festeggiavano e mio figlio era in una bara all'obitorio e io non ho potuto nemmeno fargli un funerale. E poi sui social scrivevano “uno in meno”. Non posso dire il dolore che ho provato, perché mio figlio non era come loro. Qui si parla di camorra non di ragazzate. Io ho sempre detto che se sbagli con la legge è la legge che ti deve punire, ai miei figli ho insegnato questo: se rubi devi mettere in conto che prima o poi pagherai per il tuo sbaglio. Ma non puoi pagare con la vita per qualcosa che non hai fatto, solo perché qualcuno ha deciso che devi essere tu a morire. Una morte “a tavolino” questo è stato. E perciò mi aspetto che la giustizia faccia il suo corso e questa gente paghi con un fine pena mai”.

Lei ora ha paura per la sua famiglia, per gli altri suoi figli?

No. Dopo tanto dolore devo avere anche paura? Altra carneficina? E poi la legge non ci deve proteggere? Se non è così allora dobbiamo andare via da Napoli, andare via dall'Italia. Lasciamo questa città in mano a loro, ai camorristi, così sono tutti contenti? La legge deve fare il suo lavoro. Oggi è toccato a me, domani può toccare a un' altra mamma. Si può morire così a 20 anni? Si può morire perché qualcuno così ha deciso nella sua testa? Si può morire per un paio di scarpe firmate, perché mi hai guardato storto, per trenta coltellate, si può continuare a morire così in questa città? Basta. Vedo già troppi demoni in terra e troppi angeli in cielo”.