Fuori dal coroil commento di Enzo Spiezia

"Cancro, malato terminale, metastasi": vergogniamoci

L'insulso ricorso a termini che raccontano dolore e sofferenza

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Come se le parole non fossero “pietre” pesanti che non possono essere rimosse lungo il percorso di un racconto; come se la loro giustapposizione fosse esclusivamente il frutto del caso. Messe lì a casaccio, spesso senza neanche capirne il significato, usate come iperboli che dovrebbero esaltare chi le pronuncia e le scrive. Frasi fatte e luoghi comuni 'gassosi' al punto giusto, buoni per riempire lo spazio dell'etere, del web o quello di un colonna da stampare.

Ma ci sentite (e leggete) mentre, tronfi e con la faccia fintamente incazzata che fa tanto tendenza, blateriamo del nulla, condendolo di espressioni che farebbero vergognare chiunque: cancro, metastasi, malato terminale? Roba da far accapponare la pelle, senza alcun rispetto nei confronti di chi, quelle parole terribili, le vive, purtroppo, sulla propria pelle. Storie di drammi, dolore e sofferenza, nel segno di un'angoscia che non ti lascia mai.

Dovremmo provare a visitare un reparto oncologico: solo allora, probabilmente, ci renderemmo conto dell'insulsaggine di certi 'spettacolini' recitati dopo una partita di calcio e non solo. Segno del degrado nel quale è da tempo precipitato un mestiere, quello di giornalista, con il quale ci cimentiamo nella convinzione di svolgerlo mentre annuiamo, talvolta sorridendo, di fronte al nostro interlocutore, al quale abbiamo posto domande su argomenti che non conosciamo, e di cui non sentiamo le risposte. Perchè, altrimenti, la domanda successiva sarebbe conseguenziale.

Siamo personaggi che offendono la scrittura, incapaci di mettere in fila soggetto, predicato, complemento e punto. Come se fosse diventato importante solo saper smanettare sulla tastiera di un computer o essere il più possibile social, indipendentemente dai contenuti e dalla loro descrizione. Cosa volete che importino la punteggiatura, la consecutio temporum, il congiuntivo, la linearità di un intervento? Forza, facciamoci un bel selfie con il nostro intervistato e postiamolo su facebook, in attesa di contare i like. Le pernacchie? Chissenefrega.