Fuori dal coroil commento di Enzo Spiezia

Chissà se mi ascolta mentre le chiedo ancora scusa

Il diario ai tempi del Covid-19

chissa se mi ascolta mentre le chiedo ancora scusa

Giorno 54 anno Domini 2020. L'accesso secondario, quello infilato da sempre, per abitudine, è sbarrato con una catena che non lascia spazio alla speranza. Parcheggio l'auto al solito posto e a piedi raggiungo l'ingresso principale: manca un minuto alle 7. L'addetto è già lì, mi invita ad entrare anche se con qualche secondo di anticipo rispetto all'orario fissato: che sarà mai.

“Prego”, mi dice mentre gesticola per darmi il via libera. Finalmente. Manco da due mesi, come tutti, al cimitero. Non sono solo, ci sono anche altre persone che, come me, hanno voglia di far visita ai defunti. Loro non ci sono più, purtroppo, chissà dove si trovano mentre noi, i vivi, siamo chiamati ad una durissima prova tutt'altro che conclusa.

I lumini si sono inevitabilmente consunti, vorrei sostituirli comprandone di nuovi, ma per adesso non è possibile da chi me li ha sempre venduti all'interno del camposanto. Un signore, gentilissimo, che sta pregando in una cappella vicina, si accorge che sto recriminando con me stesso e me ne offre uno. Lui è stato avveduto e lungimirante, ne aveva conservati alcuni prima che si scatenasse il finimondo sanitario.

E' altissima l'erba delle due piccole aiuole che contornano il luogo nel quale riposano i miei cari. E' cresciuta a dismisura come la mia insofferenza, versa in uno stato che riflette in pieno la confusione che ogni volta mi assale mentre sono qui. La taglio e la sradico, provo a rimediare con l'imperizia che mi contraddistingue. I gradini sono stracolmi di sporcizia che si è progressivamente accumulata, trascinata anche dal vento. Gli uccelli hanno fatto il resto.

Le lenti degli occhiali si appannano furiosamente mentre, mascherina rigorosamente tirata su e guanti alle mani, cerco di fare pulizia e mettere un po' d'ordine. Anche io dovrei riassettarmi, ma è più semplice a dirsi che a farsi. Soprattutto adesso che bisogna rimettersi in marcia dopo uno stop interminabile che ha fiaccato ogni forma di resistenza e ci ha lasciati disorientati e inermi di fronte alle decine di migliaia di vittime che un maledetto virus si è portato via per sempre. Do un'occhiata velocissima all'orologio, sono certo che nessuno verrà, nel caso, a rimproverarmi per il mancato rispetto dei 45 minuti concessi.

Le foto incorniciate e fissate sulle lapidi di marmo, con nomi, cognomi e date, ci ricordano chi siamo e da dove veniamo. Faremmo di tutto perchè quelle immagini non restituissero la terribile fissità della morte, ma nulla possiamo. Non sono mai stato un modello di virtù, né mai lo sarò, ma a questo incontro silenzioso non so proprio rinunciare perchè mi rasserena e mi infonde sicurezza. Rimandano a momenti felici quei volti che guardo con una nostalgia che mi opprime e della quale devo necessariamente liberarmi.

Me ne tornano alla mentre alcuni, di quei momenti: mi viene da sbuffare mentre ripenso a quanto è stato bello condividerli con chi mi ha dato la vita, ma anche alle delusioni che le ho provocato. Chissà se mi ascolta mentre le chiedo ancora scusa.