Rafael Salinas inaugura il XII "Piano Solo Festival"

L'evento nel Salone del Gonfalone di Palazzo di Città ospiti di Paolo Francese e Sara Cianciullo

Salerno.  

La casa comunale da oltre un decennio apre il suo “cuore” al pianoforte, grazie alla visione e al fine sentire musicale dei pianisti Paolo Francese e Sara Cianciullo, i quali insieme ad Ermanno Guerra, hanno donato alla cittadinanza ben XII edizioni del Piano Solo Festival, un percorso che ha salutato partecipazioni prestigiose, prime esecuzioni, attenzione alle giovani promesse, incisioni, tra i marmi della storica sala. L’inaugurazione del cartellone, che si avvale dell’esperienza della storica ditta “Alberto Napolitano”, prevista per domani sera, alle ore 19, è stata affidata al pianista valenciano Rafael Salinas. Il concerto ha un tema esteticamente pregnante, scelto dallo stesso solista: “Suoni e parole – scrive Salinas - sono uniti dal momento in cui l'essere umano è divenuto consapevole della propria esistenza.

"In principio era il Verbo", la sua forza creatrice non solo rispondeva al significato del verbum, ma al suono che lo collocava. Il linguaggio scritto fa appello alla nostra coscienza, al nostro mondo reale, concettuale e misurabile. La musica, forse la forma di linguaggio più complessa esistente, evoca un mondo irreale, pieno di stimoli e sentimenti. Un mondo che differisce da quello reale ma che per molti di noi può diventare più intenso e importante. La lingua sembra servire alla comunicazione, ma spesso può servire al contrario, per l'inganno. La musica può sorprenderci, cambiare il nostro umore, evocare i nostri ricordi ... ma non ingannarci mai. La musica è presente in tutte le culture e, indipendentemente dalla loro funzione, stimola profondamente ciò che ci rende umani: la capacità di amare e creare.  Portatore di un mistero di cui abbiamo bisogno senza saperlo, ci ricorda ancora e ancora che nella vita ci sono altre dimensioni dell'utile, parallelo o superiore al fisico, e alternative all'idea di beneficio”.

Il concerto è composto da opere del repertorio spagnolo appartenenti a diversi periodi, sebbene con identica magia espressiva. Le sonate per tastiera aprono una finestra sul passato, con uno sguardo furtivo, osservano come gli antichi maestri hanno adottato temi popolari nella loro musica e li hanno decorati per rendere la fantasia un mondo parallelo e magico. Il pianista, infatti, spazierà da Padre Antonio Soler con una delle 120 sonate, che risentono della conoscenza delle opere di Domenico Scarlatti, ma si caratterizzano per l’uso frequente di ritmi di danze spagnole a Vicente Rodriguez Monllor, concittadino di Salinas, sulle tracce di Bach, da Sebastian de Albero, morto alla giovane età di 33 anni, che rappresenta uno dei vertici del tastierismo spagnolo della scuola del XVIII secolo, la cui opera rivela una malinconia, che anticipa il lavoro di Chopin, caratterizzandolo come un precursore dello stile sentimentale, pur mantenendo i tratti della scuola nazionale, con frequenti cambiamenti di ritmo e costanti modulazioni molto incisive, passando per Josè de Nebra, il migliore compositore tardo barocco spagnolo, sino a Mateo Albéniz, e la sua sonata, tra il ritmo di zapateado che scorre l’intera pagina tra la giovialità delle melodie e la grazia delle acciaccature. Gli altri autori che impreziosiranno la seconda parte del programma, risalgono invece, al periodo d’oro della musica spagnola, sviluppatasi a contatto con l’ambiente parigino dei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Incontreremo, infatti, l’Enrique Granados delle Escenas Romanticas, compositore che risente dell’interesse per il folklore spagnolo, gitano e arabo-andaluso, capace di giocare abilmente tra sperimentazione e manierismo. Granados, quindi, poeta romantico nelle Escenas románticas, un ciclo nel quale – dalla Mazurka iniziale all’Epilogo conclusivo – compaiono a più riprese reminiscenze delle miniature pianistiche di Fryderyk Chopin, brani in cui Granados non si limita a rimanere alla superficie, ma provvede sempre ad approfondire e a esaltare i contenuti espressivi e narrativi. In un programma dedicato alla Spagna non poteva certo mancare Manuel de Falla, che chiude la serata con la suite da El amor Brujo e la conclusiva Danza ritual del Fuego, che schizza, aggirando i limiti del realismo, una terra arcaica, pagana, sensuale, fatta di superstizione e passionalità, sulla quale incombe l’immagine ossessiva della morte.