Ieri sui social si celebrava quel pareggio per 1-1 con la Casertana che negò ai falchetti l'accesso ai play off e che permise alla Salernitana di festeggiare la promozione in serie B in uno scenario da pelle d'oca sia al momento dell'ingresso in campo delle squadre, sia durante i 90 minuti, sia mentre Davide Moro intonava il "Nessun dorma" in uno stadio illuminato dai cellulari e che piangeva di gioia per il ritorno nel grande calcio dopo la ripartenza dai campi sterrati del dilettantismo. Le immagini più belle non le regalarono i 22 protagonisti sul manto erboso, ma quei 23mila cuori granata che presero d'assalto l'Arechi inscenando una coreografia straordinaria, unica nella sua semplicità e che ancora oggi spadroneggia sul web a livello internazionale. Oggi, invece, i più nostalgici ricordano con commozione e anche tanti rimpianti che 20 anni fa, a quest'ora, in 40mila si preparavano a celebrare la promozione in serie A dopo mezzo secolo d'attesa anteponendo, però, alla voglia di festeggiare al rispetto per le vittime di una frana che travolse le popolazioni di Sarno, Siano, Quindici e Bracigliano causando centinaia di vittime. Salerno seppre accompagnare il cavalluccio marino nell'Olimpo del calcio italiano con dignità, maturità e profonda commozione, limitandosi ad una serie di cori nel post partita e riponendo le bandiere nei cassetti per un altro mese: c'erano famiglie sepolte sotto le macerie, altre che piangevano la morte dei figli e strombazzare in giro per la città sarebbe stato quanto meno indelicato.
E' un po' un segno del destino che i momenti più belli della recente storia granata vengano rovinati da eventi negativi: nel 1994 la morte di Agostino Di Bartolomei, poi la calamità naturale, senza dimenticare che l'anno della A, pur con il premio di miglior tifoseria d'Italia stando ai voti di Telepiù, si chiuse con una bomba carta, un presidente aggredito in sala stampa mentre esonerava uno degli artefici di una classifica deficitaria e, soprattutto, quei 4 morti nel treno di ritorno da Piacenza, una ferita che non si chiuderà mai e che rende il mese di maggio quello del ricordo, del dolore e della riflessione. Da quella maledetta mattinata Salerno è maturata tanto e oggi le spetterebbe di diritto la serie A non per quel retorico discorso del "Salerno merita perchè è una grande piazza" (i tempi sono cambiati anche da questo punto di vista, oggi si tifa per l'evento e non per la maglia e lo zoccolo duro si è assottigliato pericolosamente), ma perchè chi ha vissuto quegli anni non può non ricordare con rabbia una serie di episodi che hanno inciso sulla retrocessione più immeritata della storia. Dal gol di Tuta alle indagini su Venezia-Bari passando per l'arbitraggio di Rodomonti a Milano, il gol annullato a Di Michele sempre contro i gemellati biancorossi, i risultati a sorpresa delle ultime giornate, la prestazione "col sangue agli occhi" di un Piacenza già salvo e graziato nel finale da Bettin, arbitro all'ultima direzione in carriera che uscì dallo stadio scortato dalla polizia per aver negato un rigore solare, evidente, netto, inequivocabile per un fallo su Giacomo Tedesco. C'erano 10mila salernitani, c'era un popolo che meritava rispetto, c'era gente che ancora oggi prosegue nella linea della diserzione perchè nauseata da un calcio troppo spesso strano e che poi qualche spiegazione "ufficiale" l'ha fornita quando è esploso il caso Calciopoli. Con quell'articolo pubblicato dal giornale "Famiglia Cristiana" che un campanello d'allarme lo aveva fatto suonare
20 anni fa la grande festa, ma per tutto ciò che è successo dopo potremmo quasi dire "maledetta promozione in serie A". Perchè è costata indirettamente 4 vite. Perchè è stato un campionato fortemente condizionato dai torti arbitrali. Perchè scendere a 38 punti, nella A forse più forte di sempre (quella delle sette sorelle, tanto per intenderci) dopo aver battuto quasi tutte le big fa male, troppo male. E così a Lotito e Mezzaroma spetta il compito di restituire a quella gente e dedicare a chi non c'è più la massima categoria. Perchè Salerno, per pubblico, amore, passione e dignità sportiva, non ha nulla da invidiare a nessuno ed è stata spesso "scippata" da fattori esterni rispetto a quanto prodotto sul campo. Quella retrocessione la ricordiamo tutti, così come ricordiamo regolamenti stravolti o interpretati alla meno peggio (lo 0-3 di Terni, tanto per fare un esempio), telefonate private sbattute sui giornali nazionali, stampa mondiale che associava Salerno a partite truccate senza alcun tipo di prova, un -6 in classifica per responsabilità presunta senza tesserati indagati, due fallimenti nel segno dei "due pesi e due misure", l'arbitraggio di Bettin, le sceneggiate di chi si buttava a terra per perdere appositamente, le illazioni prima dei play out col Lanciano e tanto altro ancora. Riportatela Salerno in serie A, quella squadra ripartita dalla D e che, senza ripescaggi, riforme o aiuti di alcun genere, è tornata in B con meriti, investimenti, tifosi spettacolari e grande dignità. Ora si dia a Cesare quel che è di Cesare, senza nessun fattore imponderabile di traverso nè ostacoli di alcun tipo: c'è tutto almeno per sognare, chi ricorda la storia di quegli anni (e mai potrebbe tifare per una delle big della A!) ha una fame di successi che non può e non deve essere frenata da nulla. Palla alla società, l'occasione è troppo ghiotta per non lanciare un segnale.
Gaetano Ferraiuolo
