Oreste Vigorito: "Nel calcio si vince insieme"

"Ho un altro anno di contratto come sponsor. La società si confronterà anche con me"

Benevento.  

Il ritorno dell’avvocato Vigorito come ospite di Ottogol ha fatto palpitare forte il cuore dei tifosi giallorossi: è stato come l’acqua di un fiume che dopo il periodo di secca riprende a scorrere copioso e si adagia di nuovo nel suo alveo. Parole di grande impatto, mai banali.

LA PARTITA -  “Il 90' di Benevento-Lecce è una coreografia indelebile nella mia mente, un’emozione da non dimenticare. Io voglio ringraziare tutti per l'affetto che è stato dato alla famiglia Vigorito, anche nelle settimane precedenti alla sfida, anche nei messaggi. Mi ha emozionato il ricordo verso mio fratello che il giorno dopo avrebbe compiuto gli anni. E verso le mie due figlie che mi hanno accompagnato per vivere insieme questa gioia. Al 90’ ho pensato al gol del Como dell'anno precedente e ho maturato che un progetto vero non poteva essere frustrato da un tiro sbagliato di Ganz. Noi non abbiamo vinto con un colpo di vento, ma in maniera netta e pulita. In un campionato regolare, quando i giochi sono puliti, la società del Benevento viene fuori coi i calciatori e i tifosi. Al di là del ritardo,  in B ci siamo arrivati in maniera pulita come voleva Ciro, Carmelo. Qualcuno diceva “facciamo come fanno gli altri”, noi facciamo come piace a noi: con correttezza. Il messaggio delle istituzioni calcistiche è stata la cosa più bella dopo la vittoria”.

NEL CALCIO SI VINCE INSIEME – “Il calcio è una miscela di emozioni fatto col contributo di tutti, senza il sostegno di una tifoseria un presidente è una persona sola. Quest'anno ci ha insegnato proprio questo: le cose nel calcio si fanno insieme. Quando una componente mostra stanchezza bisogna fermarsi un attimo a riflettere. L'alchimia del calcio è che è un gioco collettivo in cui tutti devono dare qualcosa. I programmi vanno condivisi, altrimenti non contano niente”.

IL FUTURO – “Io mi sento parte di una famiglia anche fuori dal campo. Ho un altro anno di contratto da sponsor del Benevento, ma ribadisco che non sono io il presidente. Chiedo che chi rappresenta l'azionariato di questo Benevento, abbia la bontà di ascoltare anche qualcosa da me. E' giusto che l'investimento sia legato ad una serietà di programmi, che devono essere condivisi. Si siederanno intorno ad un tavolo e se sarò invitato ci sarò anch'io”. Ricorda i tempi della cessione della società al nuovo gruppo: “Io non avevo una pletora di aspiranti investitori del Benevento, ma chiedevamo che avessero delle credenziali: non l'avrei data al primo venuto. La mia società al 30 giugno non aveva un euro di debito. Per poter garantire l'investitore che non si trovava col mio budget ci siamo fatti carico di una somma per non farlo, per così dire, agire al buio. Siamo intervenuti anche in qualche momento di difficoltà. Anche con qualche consiglio: diciamo che quando siamo stati interpellati abbiamo dato un consiglio e i soldi. Per evitare che arrivassero tante persone che davano un contributo minimo, ci siamo presi anche la società che seguiva la parte pubblicitaria. Oggi abbiamo già detto che aumentiamo il nostro budget di investimento, ma il progetto deve essere valido e altre persone devono metterlo sul tappeto”.

RITORNO IN SOCIETA’ – “Perché questo accada i punti di vista che devono coincidere sono tanti, anche se il puzzle da sbrogliare è uno solo. Un pezzo alla volta si mette insieme, ma non farò mai più il presidente come prima. Il presidente che fa da parafulmine a tutti non c'è più. Mi auguro che si facciano dieci anni come abbiamo fatto questi. Li devono fare loro e io li guarderò. I Vigorito saranno attenti, più siamo attenti e meglio è. Bisogna avere la grande intelligenza di esserci quando sei utile: chi ha pensato che non fossi presente perchè era finita la mia passione si sbaglia di grosso”. E quando si parla di aiuti di grosse società, l’avvocato Vigorito è perentorio: “Il Benevento non diventerà mai schiavo nessuno, né del Napoli, né dalla Juventus. E’ e sarà sempre una società che vive di luce propria. Magari saranno luci di Benevento, ma è luce propria, Spero e mi auguro che attirati dalla luce non arrivino in tanti solo per utilizzare questa squadra per farsi vedere. Questa è una cosa che non mi è mai piaciuta: quando si investe, investe Vigorito, poi quando facciamo il pullman, tutti salgono sul pullman. Mio fratello è stata l'anima di questa squadra. Questo è un gioco che si fa in maniera collegiale, i primi anni, diciamo fino al 2011 è stato così, poi sono rimasto solo e l’anno scorso ho consegnato, nelle mie dichiarazioni, la squadra alla città. Oggi questa solitudine è stata vinta grazie alla vittoria. Ma tutta quella gente deve esserci quando il Benevento perde, e non far sì che la squadra torni ad essere sola con i suoi dirigenti. Quando si spengono le luci dopo una festa rimangono solo i rifiuti. Noi abbiamo la stanza pulita, ora mettiamoci i mobili adatti”.

LA SERIE B – In serie A ci sono tante piccole realtà come Benevento. Il discorso è complesso: “Carpi e Frosinone sono frutto di un progetto, bisogna vedere che cosa vuole fare la società. Se ha un progetto da proporre, dico che i sogni sono alla base della vita. Il Benevento di Vigorito ha segnato la storia di questa società, vincendo più di un campionato concreto e virtuale. La B potrebbe anche non essere un punto di arrivo: ma quella maglietta indossata dai giocatori a fine partita l'avrei scritta anche io: “Scusate il ritardo”. Ci abbiamo messo troppo tempo, il tempo non sempre è amico dei progetti. Il calcio non esiste a prescindere da... Al di là di essere riusciti ad andare in B al primo tentativo, ogni tanto il dottor Pallotta lo dice, io sottolineo che la squadra era già in costruzione da tre anni. Qualche tempo fa, proprio agli inizi, qualche tifoso mi chiese: “Presidente dove possiamo arrivare?”, io risposi che si poteva andare in A. Ma credo che chi rappresenta oggi il Benevento e lo rappresenterà domani voglia dare solidità e continuità al programma che si è raggiunto. Oggi il Benevento sta aspettando di firmare una convenzione, anche per l'Antistadio dove si svolgerà il campionato Primavera: la vittoria nel campionato servirà anche per esportare il nome di Benevento nelle altre città di Italia”.

AUTERI – “Ringrazio il dottore Pallotta che ha condotto questa società in un viaggio difficile e chi più di me lo può sapere. La città ha idolatrato mister Auteri, io l'ho apprezzato come uomo. In un momento in cui c'era anche una stanchezza verso il calcio, lui ha riportato la gente allo stadio. Io non conoscevo Auteri uomo, lo ringrazio per le parole che ha speso sempre nei miei confronti. Ha avuto la capacità di stare al timone di un sogno che era diventato un incubo. Mi sento di dire che con Auteri non abbiamo iniziato un nuovo ciclo, ma abbiamo continuato un progetto. Ai calciatori ha dato un modulo che i calciatori interpretavano al meglio. All’inizio mi sono permesso di dire che gli sforzi economici fatti per prendere alcuni ragazzi dell'anno prima, non andavano buttati al vento. C'era uno zoccolo duro e io rimanevo per dare non solo il mio conforto economico. Abbiamo avuto ragione, visto che si è capito che Lucioni e Campagnacci non erano bidoni rifilati dalla Reggina, che De Falco guarito era il metronomo migliore della C. Volevo dire che in fondo contro il Como avevamo perso per il palo di Lucioni e per il cross sbagliato di Ganz”.

TRE MOTIVI – “Auteri quando è venuto a sottoscrivere il contratto è stato mio ospite a Napoli. Sapeva che io ero vicino al Benevento Calcio e non lo avrei lasciato, avevo un motivo per lasciarlo e tre per non farlo. Il primo è che sapevo che la città e i beneventani fossero con me, così come io stavo bene tra loro. La seconda ragione era quella che la città di Benevento aveva dato in tempi così rapidi il nome dello stadio a mio fratello. Io non mi sarei mai staccato dallo stadio, non sono venuto a vedere le partite soffrendo, è stato come se avessi avuto un daspo. La terza ragione è che Ciro e Oreste avevano detto che avrebbero portato questa squadra in serie B e c'era un dovere morale verso quella gente che ti sorride e ti mette un bambino in braccio e come se ti desse una responsabilità”.

AUTERI IN B… ILICO – C’è stato un momento in cui s’è rischiato che Auteri fosse esonerato, così come a gennaio si pensava di modificare profondamente il gruppo. L’intervento dell’avvocato è stato decisivo: “A gennaio c’erano diverse filosofie di pensiero nel management, con la classifica un po' mortificante rispetto agli obiettivi iniziali di vittoria. Se la teoria è stata appropriata e non si è toccata l'ossatura della squadra, non è stata una fortuna, ma una scelta precisa. Questa era una squadra che aveva l’anima dell'allenatore e in sei mesi Auteri aveva recuperato il gap di una squadra che conosceva poco. Se l'avessimo trasformata avremmo perso sei mesi di lavoro di Auteri. E' quello che forse ci è mancato gli altri anni, avere fiducia nelle scelte iniziali. Il pessimismo, il calo di forma, sempre raccolti dal trainer di turno come un segnale di cambiamento e non ci hanno permesso di dare continuità. L'altra chiave del successo sono stati i calciatori, la loro umiltà di sposare un modulo che all'inizio non vedevano di buon occhio”. In questo caso la storia di Cissè, ad un passo dalla cessione al Mantova a gennaio, è emblematica: “Cissè sembrava non essersi ambientato e non appariva convinto del ruolo che gli veniva affidato: era forte, ma meno agile di quello che serviva. Allora la società aveva deciso di puntare su una punta diversa, anche lo sponsor aveva garantito un ulteriore investimento. Conosco Cissè è un ragazzo eccezionale, quando è sfumata la sua cessione ha avuto il merito di pensare che doveva fare sei mesi da protagonista. Grande merito per questo ragazzo. Lui ha cominciato ad allenarsi come un leone, ha raggiunto il peso che voleva Auteri e sulle sue spalle quadrate si è caricato la felicità di un popolo”.

LA BANDIERA – Dopo la terribile delusione della sconfitta nel 2009 col Crotone davanti a tanta gente, l’avvocato Vigorito disse di non ammainare le proprie bandiere, ma di tenerle sempre pronte: “Sì, dissi che la mia sarebbe rimasta sempre sul mio balcone a Posillipo. Io non mi tolgo le emozioni da dentro, la passione scende in maniera più tenue, ma non finirà mai. La bandiera può non essere più su quel terrazzo, ma è dentro di noi. Quando si seppe che avevo ceduto la società, tanti sono venuti a chiedermi di prendere un altro club. Ma io non mi sento di amare un altro colore. Sabato contro il Lecce ero allo stadio e mi sono ritrovato insieme alle mie figlie senza che glielo avessi chiesto. Le ho trovate lì come ho trovato la gente. Persino mio padre che ha 96 anni mi ha rimproverato di non averlo portato allo stadio. Non sono venuto per raccogliere applausi, ma per ringraziare tutti”.

LA SQUADRA – “Credo ci saranno degli inserimenti, ma ci vuole uno zoccolo duro. Oggi questa è una squadra matura. Credo che, se rimarranno ovviamente, il diesse Di Somma e Auteri abbiamo già avuto un confronto. E’ presto per parlarne. Una festa istituzionale per la B? Sarebbe bello, ma non vorrei una festa strumentalizzata. La Supercoppa? Io le partite vorrei vincerle tutte, anche quelle in cui non c’è niente in palio”.