Non lo si può negare, serpeggiava in città una certa apprensione. Del resto essere primi a un passo dalla linea del traguardo senza che nessuno se lo aspettasse né ci credesse più di tanto - temo la stessa società in tutte le sue componenti - era un'occasione irripetibile, ma anche carica di una responsabilità, che non so calciatori, che venivano dal fallimento tecnico e morale della stagione precedente, così madornale da apparire irripetibile e scandaloso, erano in grado di gestire.
Intanto il Napoli alla 36esima si era giocato il suo jolly, come si erano compiaciuti di dire tutti e a più riprese, amici e nemici, Antonio Conte compreso. C'era perfino chi aveva (perfidamente) fatto di meglio. Tra gli altri, il direttore del Corriere dello Sport, Ivan Zazzaroni che, intervenendo ai microfoni di Deejay Football Club, aveva dichiarato: "A Napoli è subentrata la paura: te la fai un po' sotto perché adesso hai il Parma e poi all'ultima, se il Cagliari si salva, sei già più tranquillo. Ma adesso c'è un po' di paura. Invece quello nerazzurro ora è un ambiente carico. La Lazio gioca contro l'Inter, le mancano calciatori, ma è indubbiamente più difficile per la squadra biancoceleste rispetto che per la Roma contro il Milan".
Dello stesso tenore molte altre compatte dichiarazioni, tutte volte ad aggiungere pressione non tanto sulla squadra azzurra (quello era quasi un obbligo) quanto piuttosto sui suoi già affranti tifosi. A dar serenità all'ambiente non giungevano - come era ormai consuetudine - neanche le dichiarazioni prepartita del tecnico leccese che aveva affermato: "Io sento una responsabilità enorme, anche troppa. Penso di avere le spalle larghe per gestire questo tipo di situazione, ma non posso negare che comunque sia un bel carico. Magari in altre piazze non lo porti cosi, perché sono più abituati a vivere certe situazioni".
Insomma, tra infortuni, inesattezze tattiche (tutte a giudizio dell'asino che scrive) e "difficoltà ambientali" il Napoli si presentava a Parma con un carico da 90 che la metà sarebbe stato sufficiente a tagliare le gambe a squadroni ben più forti e rodati. Non restava, per chi si sarebbe seduto alle 20.45 davanti alla televisione, con un occhio (o un orecchio) alla partita di San Siro, che dimenticare - da buoni napoletani - il passato e guardare al futuro con quel tocco di sbruffoneria e imponderabilità di cui solo chi ha sangue partenopeo nelle vene è dotato. Ecco questo avremmo voluto, che quelli che sarebbero scesi in campo - almeno per una volta - fossero tutti "e Napule paisà".